
Tutto quanto Gesù ha fatto è stato perfetto. Dai suoi divini insegnamenti ai suoi stupendi miracoli, fino al minimo gesto o atteggiamento. Per il più sublime in assoluto dei miracoli, allora, perché mai avrà Egli utilizzato del pane e del vino?
Felipe Ramos
Chi passeggiando in campagna e vedendo un campo di grano magnifico, dorato e pronto per la mietitura; o ancora, imbattendosi in un pergolato carico d’uva dalle attraenti tonalità, al punto giusto per essere portata al torchio, potrebbe immaginare che da tutta questa poesia sarebbe sbocciato il più bel miracolo mai accaduto sulla faccia della terra? Infatti, il grano, dopo essere stato falciato e raccolto, è trasformato in farina, mescolato con acqua e cotto nel forno, trasformandosi nell’alimento più comune per il sostentamento dell’uomo: il pane.
L’uva è ammassata per liberare il suo succo, che sarà conservato con cura dal viticultore in grandi botti, per fermentare, e da lì uscirà quel prezioso liquido che “è la gioia dell’anima e del cuore” (Sir 31, 36): il vino. Il pane ed il vino – offerti in altri tempi da Melchisedec al Signore in sacrificio – sono alimenti prediletti da Dio in una maniera tale che Egli li ha scelti per operare il miracolo della Transustanziazione. È sotto le sembianze del pane e del vino che il nostro Redentore ha voluto rimanere con noi “tutti i giorni, fino alla fine del mondoi” (cfr. Mt 28, 20).
Alimento per l’anima
Questa verità fu contestata da alcune sette gnostiche dei primi secoli del Cristianesimo. Una di queste (gli artotiriti) faceva uso del pane e del vino per la Consacrazione. Un’altra (quella dei catafrigi) usava pane di farina impastata col sangue di un bambino di un anno, estratto per mezzo di piccole punture su tutto il corpo! Varie altre “consacravano” acqua, invece di vino, col pretesto della sobrietà… Allo stesso modo faceva la setta dei manichei, per i quali il vino era un “liquore diabolico”.
Ma la Santa Chiesa senza indugio ha messo fine a tutte queste stramberie. Ed essa sempre usa pane e vino per il
Sacramento dell’Eucaristia. Perché? Perché Gesù così ha fatto e ha detto di fare. Nell’Ultima Cena, Egli prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, e disse: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice con vino, rese grazie e lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue” (cfr. Mt 26, 26-28).
Così ci insegna anche San Paolo, che afferma di aver appreso direttamente dal Salvatore questa stessa dottrina: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me” (1 Cor 11, 23-25).
Una passeggiata per il mondo dei simboli
Ma perché Dio avrà scelto pane e vino per questo Sacramento tanto importante rispetto agli altri? L’amore verso la Sacra Eucaristia induce molte anime a fare ancora questa domanda. Invito il lettore a seguire i teologi in un’attraente e formativa passeggiata per i campi della Simbologia, alla ricerca della risposta. L’Eucaristia – così essi spiegano – è cibo spirituale, nello stesso modo in cui il Battesimo è un’abluzione dell’anima. E così come l’acqua, che serve per il bagno corporale, è diventata materia del Battesimo, grazie alla quale gli uomini sono lavati spiritualmente, così anche il pane e il vino, che ristorano le forze corporali, sono diventati materia dell’Eucaristia, attraverso cui gli uomini sono spiritualmente alimentati.
Il pane e il vino sono i più nobili frutti del regno vegetale, con i quali si nutre e si conserva la vita del corpo, a tal punto che Sant’Irineo li qualifica come “primizie fra i doni di Dio”. Conveniva, pertanto che fossero loro i prescelti per l’Eucaristia, istituita da Gesù per conservare ed aumentare la vita spirituale dell’uomo. Il teologo Juan Cornubiense, citato da San Tommaso nella Summa Teologica, include nel vino anche le gocce di acqua che il celebrante pone nel calice prima della Consacrazione ed esamina in maniera ancora più bella questo simbolismo: “Tra tutte le cose necessarie per il sostentamento della vita umana, il pane, il vino e l’acqua sono le più pulite, le più utili e le più necessarie. Per questo esse sono state preferite a tutte le altre e trasformate in ciò che c’è di più puro, più utile e necessario per acquistare la vita eterna, cioè, nel Corpo e Sangue di Cristo”.
L’utilizzazione del pane e del vino nel Sacramento dell’Eucaristia è anche una mirabile immagine dell’unità della Chiesa: il pane si compone di molti chicchi di grano che formano una sola massa e il vino defluisce da una grande quantità di uva. L’Eucaristia è come un memoriale della Passione di Cristo, nella quale il Sangue preziosissimo del Divino Redentore è stato separato dal suo Corpo santissimo. Allora, per ben rappresentare questo mistero, diventa separatamente il pane come sacramento del Corpo, e il vino come sacramento del Sangue.
Ciò che è vero pane
Sembra tanto semplice dire: pane e vino… Ma che cosa è veramente pane e che cosa è vino autentico? Anche di questi dettagli si occupa, con bellezza e precisione, la Teologia. Per essere valida la Consacrazione, può essere usato soltanto pane di farina di grano mescolata ad acqua naturale. Se si mescola qualsiasi altro liquido, non servirà per il Sacramento del Corpo di Cristo, perché non sarà vero pane, insegna San Tommaso.
Nel Rito Greco, la Consacrazione è fatta con pane lievitato, mentre nel Rito Latino si usa pane azzimo, ossia, senza lievito. Quale dei due va bene? Entrambi, perché il fatto di essere azzimo o lievitato, non altera affatto la natura del pane, ma riguarda soltanto il modo di prepararlo. La Chiesa stabilisce che ogni sacerdote celebri secondo il rito al quale appartiene.
Pane azzimo o con lievito: qual è il più adatto?
Lungi dall’essere una opzione arbitraria o di semplice convenienza pratica, la scelta tra il pane azzimo e quello lievitato passa per considerazioni altamente simboliche, che dimostrano bene quanto nella Santa Chiesa tutto tenda all’elevatezza, alla perfezione. Argomentano i teologi del Rito Greco: Nella mescolanza di grano e lievito è ben rappresentatol’ineffabile mistero di Cristo, il quale ha due nature in una sola Persona: la divina e l’umana.
Oltretutto, l’utilizzo del lievito, grazie all’azione per cui il pane aumenta di volume e diventa come una spugna, significa che la mente di chi consacra o riceve l’Eucaristia deve elevarsi al Cielo nella contemplazione delle cose spirituali e divine. Infine, il lievito dà al pane un sapore più gradevole, per questo designa convenientemente la maggior soavità del Sacramento dell’Eucaristia. I teologi latini, a loro volta, basano la loro preferenza sull’esempio di Cristo: nell’Ultima Cena si è mangiato pane azzimo, come prescriveva la legge mosaica; pertanto Gesù ha consacrato pane non lievitato.
E aggiungono a questo argomento ragioni altamente simboliche: Il pane azzimo è simbolo della purezza e per questo rappresenta meglio il Corpo di Cristo, concepito senza la minima corruzione, nel seno purissimo della Vergine Maria. Oltre a questo, esso è più adeguato a rappresentare anche la purezza di corpo e di anima dei fedeli che ricevono l’Eucaristia, come insegna San Paolo: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità” (1 Cor 5, 7-8).
Ciò che è vino autentico
Per il Sacramento dell’Eucaristia, può essere usato soltanto vino spremuto da uve mature. Si esclude, pertanto, il “vino” di qualsiasi altro frutto. Ugualmente escluso è il succo dell’uva acerba, perchè è ancora in via di formazione e non possiede la qualità o la condizione di vino. Da sempre la Chiesa prescrive che, prima della Consacrazione, il celebrante aggiunga al vino “una piccolissima” quantità di acqua. Il Concilio di Trento (1545 – 1562) sostiene categoricamente la dottrina per cui essa acquisisce le proprietà del vino: “In accordo con la sentenza e il parere di tutti gli ecclesiastici, quell’acqua si converte in vino”.
La Santa Chiesa si è basata su vari motivi per stabilire questa norma. In primo luogo, perché, siccome gli ebrei avevano
l’abitudine di bere vino mescolato ad acqua nella cena pasquale, sembra sicuro che Cristo così lo consacrò nell’Ultima Cena. Ma a questo motivo si sommano altri di elevata valenza simbolica. Così dice il Concilio di Trento: “La Chiesa ha prescritto ai sacerdoti di mescolare acqua al vino nel calice che si offre, sia perché si crede che così abbia fatto Cristo Signore, sia perché dal suo Lato trafitto dalla spada del soldato defluirono sangue e acqua”.
Quando nel calice l’acqua si mescola al vino, il popolo si unisce a Cristo, afferma San Cipriano. San Tommaso d’Aquino va più lontano: “Quando l’acqua si converte in vino, significa che il popolo si incorpora in Cristo”. Per altri teologi, questa mistura è anche una immagine dell’intima unione di Gesù Cristo con la sua Chiesa. Il vino, elemento nobile e prezioso, simbolizza l’Uomo-Dio; l’acqua è simbolo dell’umanità incostante e fragile. Insomma, l’acqua non è necessaria per la validità della Consacrazione.
La mistura di acqua e vino – insegna la Teologia – riguarda la partecipazione dei fedeli al Sacramento dell’Eucaristia, a significare che il popolo si unisce a Cristo. Ora, tale partecipazione non è necessariamente essenziale a che questo Sacramento abbia validità. Quante e quante volte ci sentiamo scoraggiati a causa della nostra fiacchezza spirituale, o ci lasciamo quasi vincere dalle tristezze di questa terra di esilio! E non è raro che ci ribelliamo, o tentiamo di dare la colpa ad altri. Ma basterebbe che ci guardassimo in uno specchio per incontrare chi dobbiamo accusare con sicurezza.
Sì, noi, che siamo soliti fare tanta attenzione alla nostra alimentazione fisica, non ci preoccupiamo della nostra anima, e ci dimentichiamo che anche lei – e molto di più – ha bisogno di essere trattata con affetto. Per questo abbiamo a disposizione il “Pane del Cielo” (Gv 6, 32), che ci darà forze per sopportare tutto, per crescere e raggiungere la santità, conforme alla promessa di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in Me e Io in lui” (Gv 6, 56) Approssimiamoci, dunque, il più possibile al Sacramento dell’Altare, preludio dell’eterno convivio che avremo con Gesù in Cielo.
(Rivista Araldi del Vangelo, Marzo/2006, n. 27, p. 31 – 33)
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