24/07/2019 Si celebra oggi il santo del XIX secolo che visse in un eremo, compì prodigi in vita e miracoli dopo la morte e che ha sempre più seguito anche tra i fedeli italiani. Morì nel 1898 e nel 1993 fu l’artefice di un vero e proprio intervento chirurgico che salvò la vita a una donna del Libano madre di 12 figli

Quest’anno sono 191 anni dalla nascita e 121 dalla morte di San Charbel, il santo libanese – sempre più conosciuto in Italia – che scelse l’eremo come sua dimora per raggiungere poi i confini di tanti cuori.
Un santo dedito alla preghiera fin dalla sua giovinezza; già a soli 14 anni ogni giorno dopo la cura del gregge di famiglia si ritirava in una grotta (chiamata ora “la grotta del Santo”) a pregare per ore in ginocchio davanti un’immagine della Santa Vergine.
Nato nel 1828 nel villaggio di Biqa ’Kafra (il più alto del Libano a 1600 metri sul livello del mare), l’ultimo dei cinque figli di Antoun Makhlouf e Brigitta Al-Chidiac, rimase orfano di padre a 3 anni e fu affidato allo zio che secondo alcune testimonianze si oppose poi alla sua decisione di intraprendere la vita monastica che iniziò solo a 23 anni nel monastero della Madonna di Mayfouq, cambiando il nome di battesimo – Youssef – in quello di Charbel. Ordinato poi sacerdote dell’Ordine Libanese Maronita nel 1859, rimase per 15 anni ad Annaya prima di ottenere il permesso per ritirarsi nell’eremo dei SS. Pietro e Paolo, non lontano dal monastero di San Marone ad Annaya, dove visse nell’obbedienza e nel nascondimento più assoluto.
Una sera Padre Charbel rientrò tardi dai lavori nei campi e non era perciò a conoscenza della disposizione di non accendere le lanterne imposta quella sera dal superiore in segno di povertà, ma forte era il desiderio della preghiera che Padre Charbel chiese ad un servitore di mettere l’olio nella lampada il quale versò però dell’acqua e la lampada si accese ugualmente. Il superiore vedendo arrivare la luce dalla cella del Santo inizialmente si arrabbiò, ma quando il servitore gli disse di aver versato soltanto dell’acqua, si inginocchiò davanti a San Charbel per chiedergli perdono.
Morì il 24 dicembre del 1898, dopo giorni di atroci sofferenze. Non lasciò nulla di scritto, le frasi a lui attribuite sono state tramandate oralmente, ma alcuni mesi dopo la sua morte, fenomeni straordinari si verificarono attorno alla sua tomba che iniziò a brillare e tra coloro che pregavano sul sepolcro del monaco che trasudava sangue misto ad acqua si moltiplicarono guarigioni inspiegabili, richiamando gente da tutta la vallata e di differenti religioni, costringendo i monaci a riesumarne il corpo che venne trovato intatto e rimase morbido conservando la temperatura dei corpi viventi fino alla beatificazione che avvenne nel 1965 durante la chiusura del concilio Vaticano II. Quel 5 dicembre Paolo VI, che lo proclamò poi santo nel 1977, disse: «Un nuovo membro di santità monastica arricchisce con il suo esempio e con la sua intercessione tutto il popolo cristiano. Egli può farci capire, in un mondo affascinato per il comfort e la ricchezza, il grande valore della povertà, della penitenza e dell’ascetismo, per liberare l’anima nella sua ascensione a Dio».
A Padre Charbel sono attribuiti migliaia di casi di guarigioni.Uno fra i miracoli più eclatanti di San Charbel avvenne il 22 gennaio del 1993, in quella notte Nouhad Al-Chami fu guarita da un’emiplegia con doppia ostruzione alla carotide. I medici avevano chiaramente affermato che le speranze che l’operazione potesse riuscire erano quasi nulle, così il primogenito dei 12 figli della donna si recò presso la tomba di San Charbel ad Annaya pregando che la madre venisse guarita. Fu però lo stesso santo ad operare la donna che – la mattina dopo che il figlio le frizionò la gola con l’olio benedetto di San Charbel – si svegliò con due cicatrici di 12 cm. I medici dell’ospedale di Beirut togliendo i punti di sutura dal collo dichiararono la guarigione e la notizia raggiunse tutto il Libano, tanto che il parroco ed il medico di famiglia suggerirono a Nouhad di allontanarsi da Annaya, ma San Charbel le riapparve in sogno dicendole: «Ti ho operata perché tutti ti vedano e la gente torni alla fede. Ti chiedo di partecipare alla messa presso l’Eremo di Annaya ogni 22 del mese». Così pur se la festa del santo è il 24 luglio, anche ogni 22 del mese viene celebrata una Messa in suo onore sia in Libano che a Roma. Fino a pochi mesi fa la “Casa di San Charbel” era a pochi minuti da Roma Ostiense, una piccolissima cappella custodiva le reliquie di un santo raffigurato con lo sguardo rivolto in basso quasi ad indicare che il Santo guarda direttamente il cuore di ogni persona, ma quella cappella minuscola con conteneva più i tanti fedeli attratti dal Santo guaritore libanese e così la Procura dell’Ordine dei Maroniti presenti a Roma si è spostata nei locali adiacenti alla Chiesa dell’Immacolata (non lontana dalla Basilica di San Giovanni in Laterano – via Monza, 21) che permette la partecipazione dei sempre più fedeli italiani e di tutto il mondo alle celebrazioni secondo il rito della Chiesa Siro – Antiochena dei Maroniti.
Il monaco libanese eremita non si separava mai dalla figura della Regina del Rosario e la invocava giorno e notte. Un quadro era presente sull’altare dove celebrava la messa e un altro nella sua stanza dove la Madonna vegliava sul suo riposo. La devozione per la Madonna è una caratteristica dei cristiani d’Oriente e per tutta la vita San Charbel non smise mai di amarla con passione e di esortare tutti a votarsi a Lei. «È stato il suo maestro teologo – riferisce padre Milad Tarabay, il padre procuratore dell’Ordine libanese maronita a Roma – a trasmettere a San Charbel l’amore per la Madonna. Si tratta di San Nimatullah, uno dei 4 santi maroniti insieme a santa Rafqa e al beato Stefano. Sono quattro santi che rappresentano diverse vie di santità, perché ciascuno di noi ha una vocazione e ci sono diverse strade per diventare santi. Forte però – continua padre Milad – era il loro legame con Maria e sia san Charbel che San Nimatullah dicevano che chi si consegna totalmente a Maria non conoscerà mai l’inferno».
Nella coroncina di San Charbel composta da cinque gruppi di grani, vi sono infatti anche dei grani azzurri simbolo della venerazione del santo verso la Madonna e non c’è Uffizio maronita che non contenga inni dedicati alla Vergine Maria.
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