Convocato da un imperatore vacillante tra l’ortodossia e l’eresia, il primo Concilio di Nicea denunciò e condannò le dottrine di Ario, consolidando definitivamente le basi della Cristologia. Tuttavia, 1800 anni dopo, il dibattito continua ad essere ancora vivo.

Don Juan Carlos Casté, EP

Seguendo le impronte del suo Divino Fondatore, la Santa Chiesa di Dio subì fin dalle sue origini persecuzioni e contraddizioni. Persecuzioni cruente promosse dagli imperatori romani dilacerarono i cristiani dei primi secoli, portandone alcuni all’apostasia e altri a ottenere la palma del martirio.

Il più insidioso e pericoloso dei suoi nemici non venne, tuttavia, dall’esterno, ma dalle sue proprie fila: fu quello delle eresie che tentarono di seminare disordine al suo interno. Nascoste dietro ad un ingannevole velo dottrinale, a volte molto sottile, mettevano a rischio l’integrità degli insegnamenti apostolici e la stessa Fede. Se avessero trionfato, sarebbe stato sfigurato il volto dell’Istituzione divina fondata dal Signore Gesù.

Si compì, tuttavia, la promessa fatta a Pietro e, come successe tante volte nella Storia della Chiesa, le porte dell’inferno non prevalsero contro di essa (cfr. Mt 16, 18). Per ottenere la vittoria in quella lotta, la Provvidenza si servì di anime notevoli per la loro santità e saggezza: i Padri della Chiesa che, con la loro fedeltà agli insegnamenti degli Apostoli, combatterono l’errore e consolidarono il dogma cristiano.

Strumenti per la difesa della Fede

Ma lo Spirito Santo, che assiste continuamente la Chiesa, gli diede in più uno strumento provvidenziale per la difesa della Fede: i Concili ecumenici, che attraverso i secoli non solo condannarono le eresie, ma diedero la spiegazione dottrinale e razionale della Fede, e fissarono i grandi dogmi della nostra Religione.

I primi furono realizzati in Asia Minore, nelle città di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. Lì c’era la maggior proporzione di cristiani, era il luogo dove si trovava la capitale dell’Impero e in cui sorsero le prime eresie. A causa dell’età avanzata e dei mezzi di trasporto inadeguati, i Sommi Padri dell’epoca non poterono comparire a queste assemblee, ma si fecero rappresentare dai loro emissari. Mostrarono anche, attraverso lettere e altri mezzi, quanto da vicino accompagnassero quelle riunioni, preoccupati per la gloria di Dio, purezza della Fede e salvezza delle anime.

Convocato nell’anno 325 dall’Imperatore Costantino, su istanza del Vescovo Osio, di Cordova, il primo Concilio di Nicea aprì la lista di queste assemblee universali della Chiesa. Contò sulla totale approvazione di Papa San Silvestro I, che inviò due legati. In esso fu condannata una delle maggiori eresie sorte fino ad oggi: l’arianesimo.

L’anima provvidenziale suscitata da Dio per fissare il percorso di questo primo Concilio ecumenico fu il grande Sant’Atanasio. Egli si distinse nei dibattiti, non solo smascherando la cattiveria dell’arianesimo, ma anche indicando i cammini teologici per i secoli futuri.

“Fu egli il più genuino rappresentante dell’ortodossia e pietra di paragone della purezza della Fede dell’Episcopato. Dovette soffrire un continuo martirio per mantenere questa Fede, poiché non significa altra cosa quella lotta feroce di insidie, calunnie e anche persecuzioni materiali, e l’ininterrotta successione di esili che sopportò durante tutta la sua vita”.1

Ario nega la divinità di Cristo

All’origine degli errori analizzati a Nicea fu un sacerdote chiamato Ario, nato in Libia ed educato ad Antiochia. Nell’anno 318 egli cominciò a diffondere l’idea che nella Santissima Trinità non ci sono tre Persone, ma solo una: il Padre, al di fuori del quale non ci sono che semplici creature.

Ario, spiega don Bernardino Llorca, “considerava l’unità assoluta di Dio, eterno, increato, incomunicabile. Fuori di Lui, tutte sono mere creature sue. Da questo principio deriva l’affermazione fondamentale che il Verbo o Cristo non è eterno e fu creato dal nulla, ma non per necessità, quanto per liberissima volontà e per servire al Padre Celeste da strumento per creare il mondo”.2

Come corollario di questa visione teologica sorge tutta una costellazione di errori, perfettamente sintetizzati nella sua opera dal famoso storico dei Concili, Carlos José Hefele. Tra essi, bisognerebbe sottolineare i seguenti: “Dio non è stato sempre Padre, ci fu un momento in cui Egli non lo era; il Logos di Dio fu creato dal nulla, non esistette dall’eternità; il Figlio, mera creatura, non è simile in sostanza al Padre, non è veramente e secondo la sua natura il Verbo e la Sapienza di Dio; di conseguenza, e per la sua natura, Egli è soggetto a cambiamenti, ossia, potrebbe cadere nel peccato; Egli non conosce completamente Dio, né la sua propria natura; Egli fu creato per noi, affinché Dio ci potesse creare per Lui, come suo strumento; se Dio non Lo avesse chiamato all’esistenza, Egli non esisterebbe”.3

Questa dottrina che, oltre a negare la Santissima Trinità, gettava a terra l’opera della Redenzione e i Vangeli, trovò molti sostenitori. “Tra gli intellettuali provenienti dall’ellenismo – molto abituati allora all’idea del Summus Deus, di un essere supremo – aveva una facile accoglienza, poiché come distruggeva tutto il mistero della Trinità, diventava facilmente intellegibile”.4

Allo stesso tempo, degradando Gesù Cristo da Dio a creatura, essa aveva analogie con la dottrina platonica del Demiurgo, un essere intermediario tra Dio e gli uomini. Questo campo propizio contribuì molto alla rapida diffusione dell’eresia, che si estese rapidamente a tutto il mondo greco, facendo temere Costantino per l’unità religiosa e, quindi, politica del suo impero.

Scomunica e ostinazione di Ario

Ario si valeva abilmente di argomenti presi dalle Sacre Scritture per appoggiare le sue erronee affermazioni, usando i testi biblici nei quali si marcava una differenza o che potevano essere interpretati come “dimostrazione” di un’inferiorità o subordinazione del Figlio al Padre. Per esempio: “Il Padre è più grande di me” (Gv 14, 28); o allora ” Prima dei secoli, fin dal principio, Egli mi creò” (Sir 24, 14); e ancora: “Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d’allora” (Pr 8, 22).

Cominciò a divulgare queste dottrine ad Alessandria. Costatando la sua gravità, Sant’Alessandro, Vescovo di quella città, fece moltissimi tentativi per convincerlo, con buone maniere, di quegli errori, ma egli si ostinò nelle sue idee.5 Esaurite tutte le risorse, Sant’Alessandro convocò nel 321 un sinodo di Vescovi dell’Egitto e della Libia, che condannò le tesi di Ario e lo scomunicò.

Questi, tuttavia, pertinace e irritato per questa scomunica, si lanciò con maggiore ardore a diffondere la sua eresia. Si diresse in Palestina e a Nicomedia, dove conquistò nuovi e numerosi adepti, tra i quali il Vescovo Eusebio di Nicomedia, e lo storico Eusebio di Cesarea. Quest’ultimo fu sempre uno dei suoi migliori protettori, anche se non si dichiarò mai apertamente ariano.

Convocazione di un Concilio ecumenico

Allarmato di fronte al pericolo di una divisione nei suoi domini, l’imperatore Costantino, che ancora non era stato battezzato, cercò di pacificare gli animi, inviando lettere a Sant’Alessandro e ad Ario. Tuttavia, l’eresia aveva già preso proporzioni tali da rendere necessarie altre misure.

Tutto indica che, non ottenendo successo nei suoi tentativi di ricondurre Ario sulla retta via, sia stato Osio di Cordova a dare all’imperatore il suggerimento di convocare un Concilio ecumenico, ossia, universale, con la partecipazione di Vescovi di tutte le regioni dove fioriva la Religione cristiana. Secondo alcuni storici, Costantino fece la convocazione di comune accordo con Papa San Silvestro I che, non potendo comparire personalmente, inviò i presbiteri Vito e Vincenzo come legati.

Si realizzò il concilio dal 20 maggio al 25 luglio dell’anno 325, nella città di Nicea, vicino a Nicomedia, dove risiedeva l’imperatore. Bisogna sottolineare che Costantino favorì in tutti i modi possibili la sua concretizzazione, anche mettendo a disposizione dei Padri Conciliari il sistema di poste e trasporti dell’Impero, fornendo sostegno materiale a tutti i partecipanti e sottolineando con la sua presenza l’inaugurazione dell’Assemblea.

“Quando i Vescovi entrarono nel locale delle sessioni”, racconta Hefele, “ognuno si diresse al suo posto e attese in silenzio l’arrivo dell’Imperatore. Arrivarono poi i funzionari della Corte, anche se solo quelli che erano cristiani. Quando entrò l’imperatore, tutti i presenti si alzarono. L’imperatore apparve come un inviato di Dio, vestito d’oro e ricoperto di pietre preziose. Era un uomo alto, elegante, bello e maestoso. A questa aura di grandezza, egli univa una sincera modestia e una religiosa umiltà. Manteneva modestamente gli occhi abbassati e non si sedette sul trono d’oro preparato per lui finché i Vescovi non gli diedero il segnale di farlo”.6 In seguito egli prese la parola e lesse un discorso in latino, chiedendo la pace religiosa nell’Impero.

Il più vigoroso avversario dell’Arianesimo

Oltre ad Ario e ai suoi seguaci, come Eusebio di Nicomedia, parteciparono al Concilio di Nicea circa trecento Vescovi, tra i quali il già citato Osio di Cordova. Alcuni di loro avevano ancora nei loro corpi le cicatrici dei tormenti subiti durante le recenti persecuzioni.

L’Arcivescovo Sant’Alessandro di Alessandria accorse accompagnato da un giovane diacono di 20 anni. Era Sant’Atanasio, futuro Dottore della Chiesa, che lì si rivelò l’uomo più intelligente e dialettico, e il più vigoroso avversario dell’arianesimo.7

Le sessioni si caratterizzarono per le ardue polemiche tra i difensori della Fede e i sostenitori di Ario. In queste discussioni il futuro Dottore della Chiesa si distinse per la sua “abilità dialettica che smascherava tutte le astuzie e sofismi degli eretici”,8 ed era per questo il più odiato da loro. Infatti, unendo la virtù a una brillante intelligenza, Sant’Atanasio demoliva con facilità le tesi fallaci degli ariani.

Simbolo che riflette la fedeltà agli insegnamenti apostolici

Come già spiegato sopra, questi affermavano che Gesù Cristo non era di natura divina, ma una creatura; creatura straordinaria, eminente ma semplice creatura.

Percependo come questa dottrina si scontrasse frontalmente con gli insegnamenti ricevuti dagli Apostoli, i Padri Conciliari, ispirati dallo Spirito Santo, decisero di stabilire un simbolo che riflettesse la fedeltà a questi insegnamenti, rispettata dalla Chiesa fin dalle sue origini. Così nacque il Credo di Nicea, nel quale si afferma che Gesù Cristo è “della sostanza del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre”.

Secondo Sant’Ilario, Sant’Atanasio ebbe un ruolo preponderante nella redazione del Credo di Nicea, il quale risultò da lunghe e discusse deliberazioni. Ad eccezione di soli due Vescovi, i Padri Conciliari lo ratificarono con straripante entusiasmo. Ario fu nuovamente scomunicato ed esiliato dall’Imperatore.

Nel frattempo, Costantino, nonostante tutto l’appoggio dato alla Chiesa, conservava simpatie per l’arianesimo e, qualche tempo dopo, i buoni contatti che Eusebio di Nicomedia possedeva nella Corte ottennero da lui l’autorizzazione che Ario tornasse a Alessandria, dando origine a un periodo di prove e sofferenze per Sant’Atanasio.

Vittoria della Chiesa e trionfo della Fede

Riuscì il Concilio di Nicea a sconfiggere definitivamente l’arianesimo? In un certo senso sì, e totalmente. Infatti la dottrina della Divinità del Figlio rimase in esso solidamente stabilita, lasciando ai Concili uccessivi il compito di spiegare e definire altri dogmi, come quello della Santissima Trinità. La pietra fondamentale della Cristologia era definitivamente confermata.

Il colpo ricevuto a Nicea fu, senza dubbio, terribile per l’eresia ariana. A partire dal Concilio, essa si divise in diverse correnti. I radicali (chiamati anomeni), in numero ridotto, continuarono a difendere la tesi della non consustanzialità del Figlio con il Padre. Dall’altro lato, sorsero i semi-ariani (homeusiani), i quali non accettavano che il Figlio fosse consustanziale al Padre, ma “attenuavano” la loro posizione, affermando che era una “somiglianza nella sostanza”, secondo il Credo recentemente approvato nel Concilio. C’erano infine gli homeos, che cercavano anche loro di prendere una posizione più conciliante.

L’arianesimo era stato denunciato e condannato, ma le sue conseguenze si prolungarono per molti anni. Secoli dopo l’eresia imperversava ancora tra i visigoti e non mancano teologi che indichino la sua impronta in certe deviazioni teologiche della nostra epoca.

Ma non apriamo troppo il ventaglio delle nostre riflessioni e rimaniamo con la lezione che, a proposito di quest’episodio, la Storia ci dà. Il Concilio di Nicea fu convocato da un imperatore vacillante tra l’ortodossia e l’eresia, in circostanze difficili per la Chiesa. Umanamente parlando, il risultato avrebbe potuto essere molto differente. Ma il fervore del collegio episcopale e la partecipazione provvidenziale di Sant’Atanasio ottennero come risultato la vittoria della Chiesa e il trionfo della Fede, perché è lo Spirito Santo che governa la Nave di Pietro. ²

1 LLORCA, Bernardino. Historia de la Iglesia Católica. Edad Antigua. Madrid: BAC, 2005, vol.I, p.460.
2 Idem, p.385.
3 HEFELE, Charles Joseph. Histoire des Conciles. Paris: Letouzey et Ané, 1907, tomo I, p.366-368.
4 LLORCA, op. cit., p.386.
5 Cfr. HEFELE, op. cit., p.362.
6 Idem, p.423-424.
7 Cfr. Idem, p.369.
8 Idem, p.421