Colei che nel futuro sarebbe divenuta nota come l’avvocato dei disperati, nacque nel 1381 nel villaggio di Roccaporena, nella regione di Cascia, in Umbria (centro Italia). I suoi genitori – Antonio Mancini e Amata Ferri – formavano un coppia esemplare e godevano della fama di riconciliatori grazie all’abilità che avevano nel disfare inimicizie e nel porre fine a dispute, ed erano soprannominati “pacieri di Cristo”. Erano una coppia in età avanzata, però le loro preghiere furono ascoltate e misero al mondo una bambina. Quattro giorni dopo la sua nascita, ella ricevette nella fonte battesimale della chiesa di Santa Maria a Cascia il nome di Margherita, che in seguito fu teneramente ridotto a “Rita”.

Infanzia e adolescenza di Ritasanta_rita.jpg

Già nell’infanzia Rita si distingueva a casa per la sua inclinazione alla pietà e all’unione con Dio attraverso la preghiera, e così i suoi genitori attrezzarono una piccola stanza della casa con un oratorio dove ella trascorreva gradevoli momenti in preghiera. Nonostante fossero analfabeti, Amata e Antonio cercavano di trasmettere alla bambina le loro conoscenze sulla vita di Gesù, della Vergine Maria e dei santi popolari, e in questo modo Rita crebbe docile, rispettosa e ubbidiente ai suoi anziani genitori. All’età di otto anni manifestò il desiderio di consacrare la sua verginità a Gesù, lo sposo delle vergini, ma secondo le abitudini dell’epoca si rassegnò alla volontà dei suoi genitori, e alla fine della sua adolescenza si sposò con il giovane Paolo Fernando, fonte di molte sofferenze durante la vita matrimoniale.

La famiglia, chiesa domestica: sofferenze e prove

Suo marito, descritto come un individuo pervertito e impulsivo, di carattere feroce e non timoroso di Dio, non ammetteva opinioni diverse dalla propria. Molte volte offendeva la moglie senza motivo, ma ella non rispondeva mai con risentimento o lamentele. Rita gli era ubbidiente, gli chiedeva il permesso persino per andare in chiesa, e con il trascorrere degli anni la docilità e il benvolere della moglie trasformarono il leone feroce in un mite agnello: egli divenne rispettoso con la moglie dando un buon esempio ai due figli, Giangiacomo e Paolo Maria, che purtroppo avevano ereditato il carattere paterno.

Il matrimonio durò diciotto anni, fino al momento in cui Paolo Fernando fu brutalmente assassinato da nemici che aveva coltivato ai tempi della violenza. Una volta sepolto, fu aggraziato con molte preghiere e penitenze, in suffraggio per la sua anima, da Rita, che in un coraggioso atto eroico perdonò gli assassini.

Preferisce che i figli muoiano a vederli comettere peccato

Ancora una sofferenza colpì Rita: rifatta dal dolore causato dalla morte di suo marito, e avendo dedicato tutta la sua cura nella formazione dei due figli, ella si rese conto che entrambi volevano vendicare la morte del padre. Prese allora una decisione difficile ma ferma: chiese a Gesù di portare via i suoi figli prima che commettessero questo peccato, se fosse umanamente possibile impedirglielo; li amava così tanto che voleva vederli in Paradiso, con lo stesso sentimento che portò la madre di San Luigi, re di Francia, a dire al figlio che avrebbe preferito vederlo morto ai suoi piedi che vederlo commettere un peccato mortale.

Giangiacomo e Paolo Maria si ammalarono, ma ricevettero continuamente le cure della madre diligente, che otteneva per loro ogni medicina disponibile per conservare loro la vita, e quindi, riconciliati con Dio e avendo perdonato gli assassini del padre, partirono verso l’eternità (il che avvenne circa un anno dopo la morte di Paolo Fernando, insieme al quale furono seppolti). Si direbbe che Rita rimase sola nel mondo, ma nella più perfetta delle solitudini, perché aveva Dio con sé.

Si inclina alla vita religiosa conventuale

Libera dai doveri matrimoniali o materni, Rita si perfezionò nella pratica delle virtù dedicandosi alla carità e alla preghiera, ma ciò non era sufficiente per lei, così presa dall’amore per Dio, e che fin dall’infanzia aspirava alla vita religiosa. Quando passava davanti ai conventi e ai monasteri, sentiva un’attrazione interiore per la vita dei chiostri e provava un’invidia santa delle anime vergini che vi si trovavano chiuse in totale affidamento a Gesù. Tuttavia, grazie al matrimonio, un muro invalicabile si era alzato tra lei e la vita conventuale: secondo le norme e le regole vigenti, le era vietato l’ingresso nella vita che tanto desiderava. Rita voleva una cosa impossibile: bussando alla porta del convento delle religiose agostiniane di Santa Maria Maddalena, ricevette dalla madre superiora una risposta negativa, nonostante la buona impressione che le causò, perché li si ammettevano soltanto donne nubili, e così era impossibile ammettere chi aveva già avuto una vita matrimoniale.

Vuole seguire i consigli evangelici

Respinta, continuò con le preghiere e le penitenze, oltre alle buone opere, ma mantenendo la fiducia in quello che considerava una “causa disperata” tornò due volte nello stesso convento per implorare di essere ammessa. In entrambe le occasioni fu nuovamente respinta. Si affidò allora alla volontà di Dio, raccomandandosi ai santi per la sua devozione. Praticava giá la povertà disfacendosi dei beni che possedeva e che distribuiva tra i bisognosi; la castità la viveva allo stato di vedovanza e non era interessata a contrarre nuove nozze, e così trattava con distacco il proprio corpo. Le mancava ancora l’ubbidienza, che desiderava abbracciare all’interno di un convento, sottomettendo pienamente la sua volontà a una persona con la superiorità religiosa.

Dio le propizia l’ingresso nel conventosanta_rita_2.jpg

Una notte sentì una voce che la chiamava per nome: “Rita, Rita”… Sembrava che non ci fosse nessuno, e riprendendo le sue preghiere udì nuovamente il suo nome: “Rita, Rita”. Si incamminò verso la porta e vi trovò tre persone in cui riconobbe San Giovanni Battista (che come lei era stato concepito nella vecchiaia dei genitori), Sant’Agostino (fondatore della famiglia agostiniana tanto ammirata da lei) e San Nicola da Tolentino (religioso agostiniano), i quali la invitarono a seguirli. Arrivando al convento di Santa Maria Maddalena dove era stata respinta tre volte, la porta era ovviamente ben chiusa, perché era il momento in cui le religiose dormivano. Ma i suoi tre protettori inspiegabilmente la fecero entrare all’interno dell’edificio. Quando le religiose si riunirono per i doveri del mattino, si stupirono nel trovare Rita a pregare nella cappella, e una volta accertato che la porta non era stata sfondata e che non vi era alcun segno che potesse spiegare l’entrata della vedova tramite mezzi umani, credettero nel suo racconto e riconobbero così la volontà di Dio: una nuova anima fu allora accolta in quella famiglia religiosa. Rita si disfece dei suoi beni e abbracciò formalmente la povertà evangelica. Continuò a mantenere la castità nella vedovanza dopo aver vissuto lo stato matrimoniale, e divenne sottomessa all’autorità della madre superiora, rinunciando persino alla propria volontà.

Un miracolo è il premio dell’ubbidienza

Una volta Rita ricevette dalla superiora l’ordine di annaffiare due volte al giorno un ramo secco, compito che fu svolto con diligenza ogni mattina e pomeriggio, ogni giorno, ogni mese, osservata con un ironico sorriso dalle altre suore. Esse si stupirono quando circa un anno dopo spuntarono delle foglie nella vigna che cominciava a crescere, e che iniziò a produrre dell’uva saporita secolo dopo secolo, prodotto della santa ubbidienza. Quest’albero attraversò i secoli ed arrivò ai nostri giorni mantenendosi vivo e fruttifero, frutto della cieca ubbidienza alla quale si sottomise.

Stigmatizzata, partecipa alla sofferenza di Gesù

Nella Quaresima del 1443 Rita ascoltò un’edificante predica di San Giacomo della Marca (1394-1476), un frate francescano discepolo di San Bernardino da Siena. Le parole del religioso la colpirono profondamente e quindi, prostrata dinanzi all’immagine del Crocifisso, chiese di partecipare a quei dolori lancinanti, anche se fosse il dolore di una delle spine, e fu immediatamente assecondata: la sua fronte fu ferita da una spina della corona, il che la fece svenire di dolore. Diversamente dalle piaghe di Gesù che si aprirono su altri santi, quella di Rita si manifestò con un aspetto ripugnante, purulenta e con un odore fetido che la fece vivere una vita isolata all’interno del convento, in una cella lontana dove una religiosa le portava il necessario da vivere. Questa sofferenza si estese per quindici anni.

In occasione dell’anno del Giubileo proclamato dal Papa Nicolao IV, nel 1450, Rita manifestò il desiderio di recarsi a Roma con altre religiose, ma non ottenne il permesso della madre superiora, a causa del suo stato di salute che si aggravava a causa della ferita provocata dalla spina. Rita chiese allora a Dio la sparizione della ferita e fu assecondata, potendo così viaggiare per la Città Eterna, dove praticò gli atti di pietà propri dell’occasione. Quando ritornò in convento la ferita riapparve e la religiosa riprese la sua vita di sofferenze. La salute peggiorava, i dolori aumentavano, ma la gioia e il sorriso continuavano in mezzo alla santa sofferenza. Negli ultimi giorni di vita il suo unico alimento fu il Pane Eucaristico.

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Il roseto fiorì in pieno inverno, rappresentando la realizzazione di una cosa impossibilesanta_rita_3.jpg

Con il sopraggiungere della fine della sua vita Rita si confortò con la notizia di un fenomeno inconsueto, o ancora meglio, “impossibile”: durante un rigoroso inverno si notò nel suo orticello un roseto tutto fiorito e anche un fico i cui frutti erano maturi e saporiti. Questo fatto prefigurava la nuova rosa, che in breve avrebbe ornato il Paradiso, e il frutto che Gesù avrebbe colto in Terra, con cui deliziarsi in cielo, e fino ad oggi é tradizionale la Benedizione delle Rose, che sono portate agli infermi in allusione al roseto che fiorì miracolosamente in pieno inverno e che consolò Rita nella sua malattia. Infine, confortata dai Sacramenti, Rita fu chiamata alla Casa del Padre il 22 maggio 1457, all’età di 76 anni, dopo quattro decenni di vita religiosa. Non lasciò scritti (lettere, diari: nulla di ciò esiste), ma soltanto gli esempi e i ricordi della sua vita di santità. Si registrò negli annali della storia che le campane del convento e della città di Cascia suonarono senza l’intervento di mani umane.

In Cielo patrona delle cose impossibili e delle cause disperate

Con la morte di Rita, la ferita sulla fronte prima ripugnante divenne brillante e pulita, esalando profumo. L’esposizione del suo corpo per l’ultimo saluto dei numerosi pellegrini che accorsero nel convento si estese giorno dopo giorno. Finì per non esserci un funerale formale, ma il cadavere non soffrì la consueta decomposizione, e fino ad oggi si può vedere la sua faccia, apprezzata da coloro che visitano la cappella del convento in cui la Santa delle Cose Impossibili visse. Figlia ubbidiente, sposa maltrattata, madre amorosa, vedova fiduciosa, religiosa stigmatizzata… ci sarebbero tanti aggettivi da applicare a questa agostiniana di spirito, e che non si riposò finché non divenne religiosa di fatto, ma tutti gli aggettivi si riassumono in queste parole, che sono motivo di speranza da parte di tutti i suoi devoti: patrona delle cose impossibili e delle cause disperate.

Fonti:

Heavenly Friends (Rosalie Marie Levy, St. Paul Editions, 1984).
The Incorruptibles (Joan Carroll Cruz, Tan Books, 1977)
A História de Santa Rita de Cássia (sito dei religiosi Agostiniani Recolletti, http://www.santarita-oar.org.br/base.php?page=santarita_historico)