Dal IV secolo in poi, le Chiese dell’Oriente celebravano una festa comune a tutti i martiri della terra. Sant’Efrem compose, per questa ricorrenza, un inno da cui si capisce che a Edessa questa festa si celebrava il 13 maggio.
In Siria, era celebrata il venerdì dopo Pasqua.
In un’Omelia sui martiri, il grande San Giovanni Crisostomo si riferisce a questa data come la prima domenica dopo Pentecoste.
La festa dei Martiri di Tutta la Terra, con il trascorrere del tempo, è diventata quella di Tutti i Santi, chiamata anche Ognissanti, istituita in onore della Beata Madre di Dio, la Vergine Maria, e dei santi martiri, dal Papa Bonifacio IV. Il pontefice Gregorio, più tardi, decretò che la festa, già celebrata in diverse maniere da diverse Chiese, sarebbe diventata, con solennità, la festa in onore di tutti i santi, perennemente.
La messa di Tutti i Santi fu composta per caso, ma è bella: L’Introito di Sant’Agata, il Graduale di San Ciriaco, l’Offertorio adattato da quello di San Michele si uniscono all’Alleluia e alla Comunione, presi dai testi evangelici. Il Vangelo è quello delle Beatitudini.
Riguardo alla collocazione della festa per il 1º novembre, si pensa che, siccome in tutte le religioni le solennità erano fissate a seconda del ritmo delle stagioni, il Cristianesimo abbia seguito la stessa regola.
Tra i Celti, il 1º novembre era il giorno delle grandi solennità. La festa di Tutti i Santi sarà stata creata per cristianizzare le cerimonie così care agli Anglosassoni e ai Franchi? Roma la celebrava il 13 maggio e cominciò a festeggiarla il 1º novembre dopo aver sofferto influenze galliche.
Rapidamente, la festa diventò popolare, ancora di più quando fu completata dalla commemorazione dei fedeli defunti.
****** |
Che bella festa! È come se Tutti i Santi e la Festa dei Morti fossero un’unica festa. Da un lato la Chiesa militante, sulla terra, supplica alla Chiesa trionfante del cielo; dall’altro prega per la Chiesa sofferente e paziente del purgatorio. E le tre Chiese sono un’unica Chiesa.
La carità, più forte della morte, le ha unite, dal cielo alla terra, e dalla terra al purgatorio. Ed è per lo stesso sacrificio che noi ringraziamo Dio, per la gloria con cui colma i santi del cielo, e imploriamo la misericordia ai santi del purgatorio, santi ancora non perfetti.
Tale sacrificio è Gesù stesso, che santifica, gli uni e gli altri, da chi aspettiamo la grazia di santificare noi stessi. Così, tutti si riuniscono in Voi, o Gesù! Siamo felici!
Io vi saluto, o beati amici di Dio, santi di tutti i secoli e di tutti i luoghi del mondo! Rallegriamoci, e molto, della così grande moltitudine di santi. Rallegriamoci della benevolenza di Dio, che vi accoglie nel purgatorio, misericordioso, e nella gloria, coloro che sono in cielo: ci uniamo a voi per lodarLo e benedirLo per sempre. Unitevi a noi anche voi: così potrete ottenere per noi, dalla misericordia di Dio, la grazia di imitarvi. Sapete, per la vostra esperienza, ciò che siamo noi uomini: deboli, miserabili, portati al male, circondati da pericoli da tutti i lati. E qual è il nostro maggior nemico? Ah, il nostro maggior nemico siamo noi stessi! Pregate allora, pregate per noi, buoni e santi fratelli, affinché, presto, diventiamo come voi; affinché, come voi, possiamo divenire dolci e umili di cuore; affinché, come voi, possiamo conoscere noi stessi; pregate, pregate affinché possiamo essere in grado di portare la nostra croce;
affinché possiamo seguire il divino Maestro, affinché, alla fine, possiamo riunirci tutti con voi, per amarLo e benedirLo con tutto il cuore per l’eternità.
Considerate, o anime, la grande, l’immensa processione di santi che avanza attraverso i secoli, dalla terra in cielo, che ingrosseremo, se Dio lo vorrà.
Il primo, colui che apre la fila, è il primo uomo morto sulla terra – Abele. Abele, che fu canonizzato da Nostro Signore, che nel Vangelo gli diede il nome di giusto. Fu Abele, allo stesso tempo, pastore, sacerdote e martire.
Pastore di pecore, le offre, come sacerdote, in sacrificio a Dio. Egli, che immolava, fu immolato come martire da Caino, suo fratello. Nonostante sia morto, parla ancora attraverso il sangue. Simbolo di Gesù Cristo, è come il portacroce della grande processione. E, allo stesso modo, come si fa nella processione della domenica delle Palme, entrerà nella chiesa del cielo quando Gesù Cristo, il sacerdote per eccellenza, spalancherà le porte della croce, la Sua croce attraverso il sangue, il Suo sangue. Simbolo di Gesù Cristo, per il sacrificio e per la morte, egli ne è ancora il simbolo per il carattere di risurrezione. Perché Eva ci insegna che Dio le ha dato Seth per essere il sostituto della prima società.
Dopo Abele, il primo giusto, gli succedono in processione il padre e la madre, i nostri primi genitori. Perché, appena ebbero compreso la voce di Dio, Adamo ed Eva smisero di avere il cuore duro. Speranza, sin da allora, dei Figli della donna, che avrebbe dovuto schiacciare la testa del serpente, fecero penitenza per i loro errori e ottennero il perdono. Lo Spirito Santo stesso ci dice, nella Scrittura, che la Saggezza, impersonificata da Gesù Cristo, che accudisce tutti da un’estremità all’altra con potere e tutto dispone con la dolcezza, libera dal peccato colui che fu creato dal padre del mondo e gli concede la virtù di dominare su tutte le cose.
Tali parole, prese dal libro della Sapienza, sono come una canonizzazione. Ancora oggi, le tradizioni orientali parlano della lunga penitenza del primo uomo.
Nell’isola di Ceylon c’è una montagna alta chiamata Picco di Adamo, dove si dice che il primo uomo abbia pianto amaramente a causa dei propri errori, lungo i secoli. Una particolare tradizione degli ebrei vuole che il vecchio Adamo sia sepolto a Gerusalemme, nello stesso luogo dove il nuovo Adamo riparò il male delle genti. Infine, nel secondo secolo dell’era cristiana, uno spirito eccessivo sostenne che Adamo sia stato condannato, da tutta la Chiesa per l’errore che aveva comesso.
La stessa Santa Scrittura, canonizzò uno dei primi antenati che viveva ancora: Enoch, padre di Matusalemme. Il libro della Genesi ci dice: “Enoch camminò con Dio”.
L’apostolo San Giuda diceva degli empi che bestemmiavano contro il Vangelo: Enoch, il settimo dopo Adamo, di lui profetizzò, quando disse: Ecco che viene il Signore con i santi per esercitare il giudizio su tutti gli uomini, e prendere, tra tutti loro, gli empi, gli empi di tutte le empietà e di tutte le parole dure che tali empi peccatori proferirono contro Lui.
San Paolo, il Dottore delle Genti, disse, nell’Epistola agli Ebrei: Per il merito della fede, Enoch fu elevato, affinché non vedesse la morte; non fu più visto, perché Dio lo trasportò altrove. Si presume che sia andato in paradiso, in un luogo di delizie, pieno dei frutti dell’albero della vita, di cui egli si nutre.
Si crede, generalmente, che alla fine dei secoli, alla fine del mondo cristiano, Enoch verrà come rappresentante del mondo primitivo, con Elia, rappresentante del mondo giudaico, dando testimonianza del Cristo contro il nemico capitale.
Un altro santo, da cui tutti discendiamo, appare nella processione, nella grande processione: Noè, profeta e predicatore del mondo antico, padre e pontefice del mondo nuovo, che ci salvò dal diluvio per mezzo di una arca, simbolo della Chiesa Cattolica. Fu canonizzato. Lo vediamo nella Genesi, nel Libro della Sapienza, nell’Ecclesiastico, in San Pietro nelle due epistole e in San Paolo nell’epistola degli ebrei.
San Pietro lo chiama, nella seconda epistola, l’ottavo predicatore della giustizia, il che fa capire che gli altri nostri otto antenati, prima del diluvio, pregarono anche la giustizia e la penitenza.
Nell’uscire dall’arca, il secondo padre del genere umano, come sacerdote e pontefice, offrì a Dio un sacrificio – e Dio lo accettò volentieri, dando la sua parola di non maledire più la terra e gli uomini, che dovevano moltiplicarsi.
Dio benedisse Noè e i suoi tre figli: li benedisse e, con essi tutto il genere umano e, con essi tutti noi. Non soltanto ci benedisse, quando benedisse gli antenati, ma strinse un’alleanza con noi, così come con chiunque elevi e, dalla benedizione ci dona l’arcobaleno con le sue dolci sfumature.
Vi è ancora qualcosa di più consolante. I contemporanei di Noè persero la vita materiale nel diluvio: non trovarono, però, la vita, la salvezza dell’anima? San Pietro dice: “In effetti, è meglio soffrire se Dio così vuole, facendo del bene, piuttosto che facendo del male, perché anche Cristo morì una volta per i nostri peccati, Egli, giusto, per gli ingiusti, per offrire a Dio, essendo effettivamente morto secondo la carne, ma vivificato dallo Spirito. Nel quale anche Egli fu pregare agli spiriti che si trovavano in carcere, spiriti che un tempo furono increduli, quando ai tempi di Noè, la pazienza di Dio stava aspettando la loro conversione, mentre si costruiva l’arca.
I più dotti e i più celebri interpreti ritengono, di comune accordo, che i contemporanei di Noè non credevano alle predizioni del
diluvio, convinti della pazienza di Dio: quando poi, videro l’avverarsi delle predizioni, il mare che trasbordava in una furia incontenibile e le piogge che cadevano torrenzialmente, credettero e si pentirono.
Il diluvio distrusse i loro corpi, ma salvò le loro anime. Si trovavano tutti detenuti nelle prigioni del purgatorio quando Gesù Cristo, morto nella carne sulla croce, apparve nello spirito – o nell’anima – predicando, annunciando loro la buona nuova; era per loro il Salvatore. Stavano finendo le loro pene, e infine, con tutti i santi patriarchi Lo avrebbero accompagnato nell’ingresso trionfante in cielo.
Ah! Chi non loderà la grande ed immensa bontà di Dio, Egli tutto votato alla salvezza delle anime, per questo proposito servendosi delle più terribili calamità, venutagli dalla giustizia? Chi non dedicherà a un così buon Padre la più illimitata fiducia, nel vedere che gli stessi che avevano abusato dalla Sua pazienza per un così lungo tempo, convertendosi soltanto all’ultimo momento, non gli hanno implorato invano misericordia?
Alle spalle di Noè e dei Santi del primo mondo, vediamo, nella grande processione, Abramo, Isacco, Melchisedec, Giobbe, Giuseppe, e gli altri patriarchi: Mosè, Aronne, Giosuè, Eleazaro, Gedeone, Samuele, Davide, Isaia, Daniele, gli altri profeti, i Maccabei e tutti gli anziani giusti dei quali parla San Paolo agli ebrei, “che, per la fede, conquistarono regni, consumarono i doveri della giustizia e della virtù, ricevettero ciò che fu promesso, chiusero le fauci dei leoni, fermarono la violenza del fuoco, evitarono il filo delle spade, guarirono dalle malattie, si riempirono di coraggio e di forza nei combattimenti, mettendo in fuga gli eserciti stranieri; vi furono donne, che, persino, recuperarono i morti resuscitandoli; alcuni furono torturati, rifiutando il riscatto, al fine di raggiungere una migliore rissurrezione; altri furono ludibriati e flagellati, e, inoltre, messi in carceri e prigioni; furono tentati, furono passati a filo di spada, camminarono erranti, coperti di pelli di pecore e di capre, bisognosi, angosciati, afflitti; loro, di cui il mondo non era degno, dovettero errare per i deserti, per i monti, per fosse e caverne.
E tutti costoro, lodati da Dio, con la testimonianza data della loro fede, non ricevettero immediatamente l’oggetto della promessa, avendo Dio disposto qualcosa di migliore per noi, affinché loro, senza di noi, non potessero ottenere la perfezione della felicità.
Per questo motivo, anche noi, circondati da così grande numero di testimoni, liberandoci da tutto il peso che ci trattiene e dal peccato che ci avvolge, percorriamo con pazienza il cammino che ci è proposto, volgendo gli occhi all’autore e consumatore della fede, Gesù, che nonostante avesse avuto la proposta del piacere, soffrì sulla croce non dando attenzione all’ignominia, ed è seduto alla destra del trono di Dio.
In verità non vi avvicinaste al monte palpabile e al fuoco ardente, al vortice dell’oscurità, alla tempesta, al suono della tromba, e a quella voce così rimbombante, che coloro che la ebbero sentita supplicarono che non si parlasse più loro.
Voi, però, vi avvicinaste al Monte Sion e alla città del Dio vivo, alla Gerusalemme celeste e alla moltitudine di molte migliaia di angeli, alla chiesa dei primogeniti, che sono iscritti in cielo, e a Dio, giudice di tutti, e agli spiriti dei giusti perfetti, e a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e all’aspersione di quel sangue che parla meglio di quello di Abele. In queste parole dell’Apostolo vediamo l’insieme della processione, inclusi gli angeli che vengono dietro. La prima parte aspetta che Gesù apra loro la porta del cielo, e, più avanti, in un corteo angelico, i bambini che per Lui morirono a Betlemme e nei dintorni. In seguito, vi si trova la santa Madre. EccoLa, bellissima, con gli apostoli, con i martiri, le vergini, e l’innumerevole moltitudine di santi di tutti i clan, lingue, sesso, nazioni, di tutti i secoli, di tutti i paesi.
Non ci dimentichiamo di salutare, nell’immensa processione, i santi del paese, del nostro tempo, della nostra famiglia, perché non vi è una famiglia cristiana che non abbia santi canonizzati anticipatamente da Nostro Signore. Non disse, forse, agli apostoli: Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli? E allora? Quale famiglia non possiede un piccolino morto, morto nella grazia del battesimo? Stanno lì, tutti in cielo.
Gli apostoli chiesero a Nostro Signore: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?” Allora Gesù chiamò a sé un bambino, la abbracciò, tenera e commossamente, e rispose: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”. Onoriamo poi, questi piccoli santi delle nostre famiglie, questi grandi dell’eterno regno. Invochiamoli veramente, affinché ottengano per noi il permesso di partecipare alla grande, immensa, processione. E che, una volta usciti dalla terra, possiamo entrare in cielo, nella gloria di Dio. Così sia.
Commemorazione dei Fedeli DefuntiAbbiamo visto che la Chiesa trionfante del cielo, la Chiesa militante della terra e la Chiesa sofferente del purgatorio, paziente, non sono altro che una sola ed unica Chiesa; che la carità, più forte della morte, le ha unite dal cielo alla terra, e dalla terra al purgatorio. Sono come tre parti di una unica processione di santi, processione che avanza dalla terra in cielo.
Le anime del purgatorio parteciperanno a quella processione un giorno, sì, perché non hanno ancora sufficientemente
bianche le vesti da festa, l’abito nuziale conserva ancora macchie, quelle macchie che soltanto la sofferenza può pulire.
Abbiamo visto, quindi, come i contemporanei di Noè, coloro che fecero penitenza soltanto nel momento del diluvio, furono messi in prigioni sotterranee finché Gesù Cristo non apparve loro, annunciandogli la libertà, al momento della loro discesa agli inferni.
Come i fedeli della Chiesa trionfante, i fedeli della Chiesa militante ed i fedeli della Chiesa sofferente e paziente, sono membra di uno stesso corpo – che è Gesù Cristo – e tanto gli uni come gli altri, si interessano, compiangono la gloria, i pericoli, le sofferenze di taluni e di altri, tal quale le membra del corpo umano. Vediamo un esempio: il piede è in pericolo di salute o soffre di dolore: tutte le membra del corpo si prostrano in commozione. E gli occhi lo guardano, le mani ci proteggono, la voce chiede aiuto, per allontanare il male o il pericolo. Una volta allontanato il male, tutte le membra si rallegrano.
È ciò che succede al corpo vivo della Chiesa universale. E vediamo gli eroi della Chiesa militante, gli illustri Maccabei, assistiti dagli angeli di Dio e dai santi di Dio, specialmente dal grande sacerdote Onias e dal profeta Geremia, a pregare e a offrire sacrifici per questi fratelli che erano morti per la causa di Dio, ma colpevoli di questo o quell’errore.
L’indomani, dopo una vitoria, Giuda Maccabeo e i suoi apparvero per raccogliere i morti e seppellirli nel sepolcro degli antenati e trovarono sulle tuniche dei morti, cose che erano state consacrate agli idoli di Jamnia, che agli ebrei era vietato toccare. Fu, poi, detto a tutti che era per questo che loro erano stati uccisi. E tutti lodarono il giusto giudizio dell’Eterno, che scopre ciò che è nacosto, e Lo supplicano di dimenticare il peccato commesso.
Giuda esortò il popolo a preservarsi dal peccato, avendo davanti agli occhi ciò che era venuto dal peccato di coloro che erano morti . E dopo che ebbe fatto una colletta, inviò a Gerusalemme duemila dracme di argento, affinché fosse offerto un sacrificio per il peccato dei morti, agendo così molto bene, ritenendo di essere nel cammino della risurrezione. Perché, se non avesse avuto la speranza che coloro che erano appena morti sarebbero risuscitati un giorno, sarebbe stato superfluo e sciocco pregare per questi morti.
Giuda, tuttavia, considerava che una grande misericordia era riservata agli addormentati nella pietà. Santo e pietoso pensiero! Fu per questo che offrì un sacrificio di espiazione per i defunti, affinché fossero liberi dai peccati.
Tali sono le parole e riflessioni della santa Scrittura, secondo il testo greco, e le stesse, approssimativamente, in latino.
Nostro Signore stesso avverte, abbastanza chiaramente, che vi è un purgatorio, quando ci raccomanda in San Matteo e San Luca: “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario
non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!”
Secondo queste parole, è molto chiaro che vi è una prigione di Dio, dove tutto è sistemato dalla sua giustizia, e da dove non si esce se non si estingue il debito per intero.
Nostro Signore, in San Matteo, ci dice ancora: “Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.” Da cui si vede che gli altri peccati possono essere perdonati in questo secolo e nel futuro, come dice espressamente il libro dei Maccabei riguardo ai peccati di coloro che erano morti per la causa di Dio.
Allo stesso modo, nel sacrificio della messa, la santa Chiesa di Dio ricorda ai santi che con Lui regnano in cielo, per ringraziarli per la gloria e per raccomandarci alla loro intercessione. D’altra parte, supplica Dio di ricordarsi dei servitori e delle servitrici che ci precedettero nell’altro mondo con il sigillo della fede, degnandosi di concedere loro la permanenza nel refrigerio della luce e della pace.
Il credere nel purgatorio e la preghiera per i morti si trovano in tutti i dottori della Chiesa, così come negli atti dei martiri, in particolare negli atti di San Perpetuo, scritti da lui stesso.
Tutti i santi pregarono per i morti. Sant’Odilon, abate di Cluny, nell’XI secolo, aveva una cura particolare per ciò che riguardava il refrigerio delle anime del purgatorio. Fu, mosso dalla compassione e pensando alla sofferenza delle anime del purgatorio, che, anticipandosi alla Chiesa, ordinò che si pregasse per le anime, avendo destinato a questo un giorno speciale. Ecco come Sant’Odilon animò tale istituzione, cominciando dalle terre che erano votate al sacerdozio. (…)
Riguardo al purgatorio, non si sa nulla di sicuro. Ecco tuttavia, ciò che si legge nelle rivelazioni di Santa Francesca Romana, rivelazioni che la Chiesa ci autorizza a credere, senza però, obbligarci a farlo.
In una visione, la santa fu condotta dall’inferno al purgatorio, che, ugualmente è diviso in tre zone o sfere, una sull’altra.
Al suo ingresso, Santa Francesca lesse quest’iscrizione:
Questo è il purgatorio, luogo di speranza, dove si fa un intervallo.
La zona inferiore è tutta di fuoco, che è diverso da quello dell’inferno, che è nero e tenebroso. Questo del purgatorio ha fiamme grandi, molto grandi e rosse. E le anime. Lì, sono illuminate, internamente, dalla grazia. Perché conoscono la verità, così come la determinazione del tempo.
Coloro che hanno peccati gravi sono inviati a questo fuoco dagli angeli, e lì restano secondo la qualità dei peccati che commisero.
La santa diceva che, per ogni peccato mortale non espiato, l’anima sarebbe rimasta in quel fuoco per sette anni.
Nonostante in questa zona o sfera inferiore le fiamme del fuoco avvolgano tutte le anime, tuttavia le tormentano, alcune più di altre, secondo la gravità dei propri peccati, più gravi o più leggeri.
Al di là di questo luogo del purgatorio, a sinistra vi sono i demoni che fecero commettere a quelle anime i peccati che ora espiano. Le censurano, ma non infliggono loro nessun altro tormento.
Povere anime! Le fa soffrire di più, molto di più, la visione di questi demoni che il proprio fuoco che le avvolge. E, con tale sofferenza, gridano e piangono, senza che, in questo mondo, qualcuno riesca a farsene un’idea. Lo fanno, tuttavia, umilmente, perché sanno che se lo meritano, che la giustizia divina ha ragione. Sono grida quasi affettuose, che portano loro una sorta di consolazione. Non che siano allontanate dal fuoco. No, la misericordia di Dio,
toccata da quella rassegnazione, delle anime sofferenti, lancia verso di loro uno sguardo favorevole, sguardo che allegerisce la loro sofferenza e permette loro di intravedere la gloria della beatitudine, verso la quale passeranno.
Santa Francesca Romana vide un angelo glorioso condurre a quel luogo l’anima che le era stata confidata, alla sua custodia, e ad aspettare fuori, a destra. È che i suffraggi e le buone opere che i parenti, gli amici, o chiunque sia, fanno specialmente in intenzione dell’anima, mossi dalla carità, sono presentati, dagli angeli custodi, alla divina maestà. E gli angeli, nel comunicare alle anime, ciò che noi facciamo per loro, le calmano, le rallegrano e le confortano. I suffraggi e le opere buone che fanno gli amici, per carità, specialmente per gli amici del purgatorio, giova principalmente a chi li compie, a causa della carità. Ci guadagnano le anime e ci guadagniamo noi.
Le preghiere, i suffragi e l’elemosine fatte caritatevolmente per le anime che già sono in gloria, e che già non lo necessitano, sono rivertite alle anime che lo necessitano ancora, giovando anche a noi.
E i suffragi che si fanno per le anime che giacciono all’inferno? Non se ne approfittano né le une né le altre – né quelle dell’inferno, né quelle del purgatorio, ma unicamente chi le fa.
La zona o regione media del purgatorio è divisa in tre parti: la prima, piena di una neve eccessivamente fredda; la seconda piena di pece fusa, mescolata ad olio in ebollizione; la terza piena di certi metalli fusi, come oro e argento, trasparenti. Trentotto angeli lì ricevono le anime che non commisero peccati così gravi da meritare la regione inferiore. Le ricevono e le trasportano da un luogo all’altro con grande carità: non sono i loro angeli custodi, ma altri che sono obbligati a questo servizio dalla misericordia divina.
Santa Francesca nulla disse, oppure non l’autorizzò a dirlo il superiore, sulla piú elevata regione del purgatorio.
Nei cieli, gli angeli fedeli hanno la loro gerarchia: tre ordini e nove cori. Le anime sante che salgono dalla terra, restano nei cori e negli ordini che Dio indica loro, secondo i propri meriti. È una festa per tutta la milizia celeste, ma particolarmente per il coro, dove l’anima santa dovrà rallegrarsi eternamente in Dio.
Ciò che Santa Francesca vide nella bontà di Dio la lasciò profondamente impressionata, senza che potesse parlare dell’allegria che aveva nel cuore. Spesso, nei giorni di festa, soprattutto dopo la comunione, quando meditava sul mistero del giorno, con lo spirito, trasportato in cielo, vedeva lo stesso mistero celebrato dagli angeli e dai santi.
Tutte le visioni che aveva, Santa Francesca Romana le sottometteva alla Madre, Santa Chiesa. E, dalla stessa madre, la Chiesa, Francesca fu canonizzata, senza che si trovasse nulla di riprovevole nelle visioni avute.
Noi, poi, vi salutiamo, o anime che vi purificate nelle fiamme del purgatorio. Condividiamo i vostri dolori, le sofferenze, principalmente di quell’immenso e torturante dolore di non poter vedere Dio.
Poveri noi! Senza dubbio vi sono tra voi parenti vostri e amici: soffriranno, forse per nostra colpa. Chi dirà che non abbiamo dato loro, in questa o quell’occasione, motivi per peccare? Manca loro poco tempo perché diventino anime pure. Che succederà, a noi che vegliamo così poco per noi stessi? Anime sante e sofferenti, che Dio ci liberi dal dimenticarvi!
Tutti i giorni, nella messa e nelle preghiere, ci ricorderemo di tutte voi. Ricordatevi, dunque, anche di noi. Ricordatevi, principalmente, quando sarete in Cielo. Come vogliamo vedervi là! Come vogliamo vederci con voi! Così sia.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.