
Il Beato Bartolo Longo nacque a Latiano (Br) il 10 Febbraio 1841, dal dott. Bartolomeo e da Antonia Luparelli. Presto si manifestarono le sue qualità naturali: ingegno vivace e carattere ardente. Fu perciò festante, burlone, sbarazzino. A sei anni fu accolto dai Padri Scolopi nel loro Collegio di Francavilla Fontana. Continuò i suoi studi a Lecce e a Napoli, dove conseguì la laurea in giurisprudenza nel 1864. All’università, follemente aperta alla moda anticristiana del tempo, Bartolo si trovò impigliato in una rete di superstizione e spiritismo fino ad essere consacrato “sacerdote dello spirito”. Piangerà con amarezza questa alienazione giovanile. Nei piani della Provvidenza questa “caduta” servì per una riscoperta definitiva della fede e del bene. L’amico Prof. Vincenzo Pepe ed il dotto domenicano P. Alberto Radente furono gli angeli inviati da Dio sul suo cammino. Il suo ritorno fu generoso e completo. Abbandonò la vita forense, dedicandosi alle opere di carità e allo studio della religione. Per questo motivo rinunciò anche a vantaggiose proposte di matrimonio. Ma la missione di Bartolo Longo non doveva esaurirsi così. Nel 1872 si trovò a Pompei per motivi di lavoro, avendogli la Contessa De Fusco affidato l’amministrazione delle sue proprietà. Fu subito colpito ed impietosito dalla miseria umana e religiosa dei pochi contadini. Per divina ispirazione, decise di dedicarsi all’insegnamento del catechismo ed alla diffusione del Rosario. Nel 1876, su suggerimento del Vescovo di Nola, Mons. Formisano, iniziò a questuare “un soldo al mese” per costruire un tempio a Pompei. I prodigi operati per intercessione della Vergine, la cui Immagine del Rosario era stata posta nell’erigenda chiesa, attirarono tanta gente ed offerte per cui s’innalzò un solenne tempio ed un prezioso trono alla Madonna. Ed accanto ad esso, degna cornice, sorse una città mariana arricchita da veri monumenti della carità, quali sono i numerosi Istituti. Cinquanta anni di lavoro instancabile, intelligente, ardente produssero “il miracolo di Pompei”. Migliaia di bambini sono aiutati dalla carità fraterna: milioni di persone pregano, aiutate dagli scritti di B. Longo; milioni si ristorano ai piedi della Vergine nel loro pellegrinaggio terreno. Collaboratrice generosa, forte ed ardente fu la Contessa De Fusco, che andò sposa all’Avvocato, per consiglio di amici e superiori, nel 1885. Gli fu sempre accanto fino al 9 febbraio 1924, quando morì a 88 anni compiuti. Bartolo Longo visse ancora due anni tra amarezze morali e sofferenze fisiche. Si addormentò nel Signore il 5 ottobre 1926. Il 7 maggio 1934 iniziò il processo canonico per la beatificazione. Il 28 febbraio 1947 la Sacra Congregazione dei Riti emise il decreto di introduzione della Causa del Servo di Dio. Il 26 ottobre 1980, a Roma, Bartolo Longo venne proclamato Beato dal Papa Giovanni Paolo II.

La vocazione ad Apostolo del Rosario
(da Beato Bartolo Longo, Storia del Santuario di Pompei, Pompei, 1981 (riproduzione anastatica dell’ed. 1954), pp. 57-59)
«Lettor mio, ti sei mai trovato con l’animo involto in un nuvolo di pensieri neri, tristi, che apportano noia, abbattimento desolazione? Tu allora puoi comprendermi. Uscito appena dalla selva oscura degli orrori, in cui mi ero smarrito come cultore del Magnetismo e dello Spiritismo, l’animo mio non trovava più pace. A trentatré anni, lotte incessanti, aspre, implacabili con Satana, che suscitava furiose tempeste, mi avevano atterrato e costretto a mordere quel fango, dal quale la superba cervice soleva orgogliosamente insorgere contro Dio. E Dio a tal punto mi aspettava, affinché dove abbondava la iniquità ivi sovrabbondasse la misericordia. Un abisso chiamava un altro abisso. Iddio è paziente e longanime, perché è forte: essendo onnipotente non si adira, né si vendica, perché tutto a lui è sottoposto. È dolce, di sua natura buono, cioè diffusivo di sue ricchezze, ma per nostre colpe giusto nel punire. Aspetta l’uomo a penitenza: ma poi lo condanna, se ostinato. O grande Iddio! Chi ti mosse allora ad aspettarmi, sì lungo tempo lontano da te; se non la bontà tua essenziale, poiché tutte le tue vie si riducono alla Misericordia ed alla Verità. Alle mie ribellioni tu opponesti una infinita pazienza: ai miei allontanamenti, una dolcissima benignità: alle offese contro di te rivolte, i sospiri del tuo Cuore compassionevole, vivo, generoso e paterno. Alle mie infelici cadute finalmente stendesti la mano del soccorso. Tu vedesti la mia umiliazione e le mie pene, ed allora ebbe trionfo la tua misericordia, giacché nelle umiliazioni tu ergi le montagne della tua grazia. Ed il primo frutto di tua grazia fu l’ispirarmi un desiderio ardente, irrefrenabile, insaziabile di te, verità, luce, cibo, pace dell’uomo, tua creatura. L’anima mia, adunque, cercava violentemente Iddio. Dio solo poteva, come unico centro, fissare l’intelletto fluttuante in un pelago di errori; Dio solo poteva saziare le inique voglie di un cuore dilacerato da tante e focosissime passioni. Un giorno, correva l’ottobre del 1872, la procella dell’animo mi bruciava il cuore più che ogni altra volta, e mi infondeva una tristezza cupa e poco men che disperata. Uscii dal casino De Fusco, e mi posi con passo frettoloso a camminare per la valle [di Pompei, ndr] senza saper dove. E così andando, pervenni al luogo più selvaggio di queste contrade, che i contadini chiamano Arpaja, quasi abitacolo delle Arpie. Tutto era avvolto in quiete profonda. Volse gli occhi in giro: nessun’ombra di anima viva. Allora mi arrestai di botto. Sentivami scoppiare il cuore. In cotanta tenebria di animo una voce amica pareva mi sussurrasse all’orecchio quelle parole, che io stesso aveva letto, e che di frequente ripetevami il santo amico dell’anima mia ora defunto: – Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo! – Questo pensiero fu come un baleno che rompe il buio di una notte tempestosa. Satana, che mi teneva avvinto come sua preda, intravide la sua sconfitta e più mi costrinse nelle sue spire infernali. Era l’ultima lotta, disperata lotta. Con l’audacia della disperazione lo sollevai la faccia e le mani al Cielo, e rivolto alla Vergine celeste: – Se è vero – gridai – che Tu hai promesso a San Domenico, che chi propaga il Rosario si salva; io mi salverò, perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario. Niuno rispose: silenzio di tomba mi avvolgeva dintorno. Ma da una calma che repentinamente successe alla tempesta nell’animo mio, inferii che forse quel grido di ambascia sarebbe un giorno esaudito. Una lontana eco di campana di campana giunse ai miei orecchi, e mi scosse: sonava l’Angelus del mezzodì. Mi prostrai e articolai la prece che in quell’ora un mondo di fedeli volge a Maria».
La missione
(da B. Longo, op. cit., p 377 )
«L’opera santa di Pompei non è solo un atto di fede e di amore cristiano, ma è eziandio la espressione vera del Cattolicesimo, il quale non è Italiano, né Europeo, ma universale. E qui non solo abbiamo in animo di elevare un Tempio, ma ancora un Asilo d’infanzia ed una Scuola cattolica. In tal modo si conseguirà un doppio intendimento. Cioè: 1° di contrapporre una riparazione nazionale agli oltraggi che i protestanti e gl’increduli fan pubblicamente alla nostra Religione ed alla Vergine Madre di Dio in questa Italia, che è sede del Papato, ossia fonte di verace civiltà; 2° di sottrarre all’ignoranza ed all’abbrutimento migliaia di nostri fratelli quali sono i poveri ed abbandonati contadini che vivono dispersi per la Valle nel campo pompeiano».
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.