
Le Catacombe di S.Sebastiano, situate al III miglio della via Appia, sono un vasto complesso costituito da 12 km di gallerie, quelle che, per essere situate “presso le cave” (dal greco “katà kymbas”) di tufo e pozzolana, furono le prime ad essere chiamate con il termine di “catacombe”, nome poi esteso alle altre consimili necropoli sotterranee. Il tufo è pietra morbida e porosa e la pozzolana una specie di malta: naturale che utilizzarne e poi ampliarne le gallerie per seppellire i defunti, oltre che una necessità, fu una soluzione pratica. Dunque catacombe uguale a cimiteri, una funzione prettamente funeraria, dove la presenza dei fedeli era contemplata solo per celebrare la memoria di un defunto e non nascondiglio o luogo segreto in cui la comunità cristiana si riuniva per sfuggire alle persecuzioni. Dapprima vasto luogo funerario pagano con tombe ad incinerazione ed inumazione, nel corso del I secolo d.C. e fino all’inizio del II, nel settore settentrionale sorsero una serie di colombari in doppia fila. Nello stesso periodo, nella zona sud-orientale, fu costruito un complesso edilizio residenziale (detto oggi “villa grande”) che venne decorato con pitture parietali, tra le quali va segnalato un bellissimo paesaggio con ville marine su una parete dell’ambiente principale.

Il crollo delle volte, avvenuto verso la metà del II secolo, alzò il livello dell’arenario di 3 metri: qui venne approntata una zona nota con il nome di “piazzuola” (nella foto 1) dalla quale si accedeva a tre grandi sepolcri, in laterizio, ancora pagani. Il primo (nella foto 1 al centro) apparteneva a “Marcus Clodius Hermes“, come dichiara l’iscrizione superstite, ed era composto di due camere sovrapposte: ben visibili, sopra la facciata, le tracce di un muretto che costituivano il “solarium”, dove i parenti del defunto si riunivano nell’anniversario della morte del congiunto per consumarvi un pasto leggero in suo onore, una sorta di rinfresco detto “refrigerium“. Il secondo sepolcro (nella foto 1 a destra) detto “degli Innocentiores“, in quanto proprietà di un collegio funeratico così denominato; infine il terzo, detto “dell’ascia” (nella foto 1 a sinistra), per la figura di questo arnese incisa nel timpano del frontone; composto da una rampa d’ingresso e di camera sotterranea con la volta a botte ornata di finissimi stucchi. Alcuni simboli dell’iconografia cristiana (come il simbolo del “pesce”, in greco “ikzùs”, che forma le iniziali di una dichiarazione di fede, “Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore”) rinvenuti in questi sepolcri indicano una precoce presenza cristiana, a conferma che il passaggio dalla fase pagana a quella cristiana avvenne in modo graduale. L’ultimo edificio d’una certa importanza fu quello oggi denominato “villa piccola”, del quale restano un cortile con pavimento a mosaico bianco e nero ed un portico a pilastri. Alla metà del III secolo il sepolcreto risulta interrato e l’area occupata da una “triclia”, una sorta di cortile di forma trapezoidale (23 x 18 metri) con pavimento in mattoni ed un grande porticato a pilastri dove 600 graffiti conservati sull’intonaco testimoniano quasi 70 anni di “refrigeria“. Le iscrizioni votive, in latino, greco, siriaco ed aramaico, risultano stilate in onore degli apostoli Pietro e Paolo: qui la tradizione, infatti, vuole che i corpi dei due apostoli fossero stati collocati nel 258, durante la persecuzione di Valeriano, per proteggerli da eventuali profanazioni e qui vi rimasero per 50 anni circa (tanto durò infatti la “Memoria Apostolorum“) prima di tornare rispettivamente nei propri sepolcri. Si può affermare che il cimitero si trasformò in luogo di culto cristiano dal momento in cui le spoglie dei due apostoli vi furono sepolte, anche se i risultati archeologici, se confermano l’esistenza di un luogo di culto, non confortano l’ipotesi della traslazione dei corpi, forse anche perché nella zona non fu mai ritrovata una vera e propria sepoltura. Privata delle reliquie, la “Memoria Apostolorum” non aveva più motivo di essere, tanto che, all’inizio del IV secolo, tutte le costruzioni furono smantellate ed interrate ed al loro posto venne edificata la grande “Basilica Apostolorum“, che tuttavia dovette lasciare agibile, almeno parzialmente, la “triclia“. La chiesa attuale, che sorge sul lato destro dell’Appia, poco dopo l’incrocio con via delle Sette Chiese, occupa solo lo spazio dell’antica navata centrale: l’edificio originario, dunque, doveva risultare di ben maggiore grandiosità. La chiesa aveva la pianta “circiforme” tipica delle basiliche cimiteriali: lunga 74 metri e larga 31, aveva tre navate divise da pilastri sormontati da archi. La copertura, secondo consuetudine, era affidata a semplici capriate lignee a vista ed il pavimento era completamente lastricato di tombe, come anche le pareti. Numerosi mausolei, a pianta centrale o a struttura basilicale, vennero in seguito costruiti attorno alla chiesa, il più importante dei quali, databile alla fine del IV secolo, di forma irregolare, è quello detto “Platonia”, che la tradizione vuole sia la cripta dove i due apostoli trovarono sepoltura. Per tale motivo papa Damaso lo fece rivestire con lastre di marmo che nel basso latino erano dette “platoniae“: di fatto era un mausoleo privato costruito ad opera di una comunità della Pannonia, dove furono deposte, tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, le spoglie del vescovo e martire S.Quirino di Siscia. Soltanto alla metà del V secolo il complesso risulta intitolato a S.Sebastiano, ufficiale dell’esercito imperiale, condannato a morte sotto Diocleziano. Secondo la “Passio S.Sebastiani“, il santo, denunciato per la sua fede cristiana, venne legato ad una colonna e trafitto da numerose frecce. Creduto morto, venne raccolto e curato dalla vedova Irene. Dopo la guarigione, Sebastiano tornò dall’imperatore per proclamare ancora il suo credo. Diocleziano ordinò di ucciderlo a bastonate nel circopresso il Palatino e di gettare il corpo nella Cloaca Maxima. Tuttavia, prima di arrivare al fiume, il corpo si impigliò nei pressi della chiesa di S.Giorgio in Velabro dove fu ritrovato dalla matrona Lucina che provvide a dargli degna sepoltura nella Catacomba. Nell’826 il corpo del santo, conservato nella cripta, fu rimosso e trasferito a S.Pietro per volere di Eugenio II, probabilmente per timore dei Saraceni, precauzione quanto mai fondata, visto che circa venti anni dopo la chiesa venne investita in pieno dalla terribile incursione dei pirati ed il monastero, che subì i danni maggiori, fu, sia pure per breve tempo, abbandonato. Pochi anni dopo, Niccolò I (858-67) provvide a rifondare il complesso che tre secoli più tardi fu affidato ai Cistercensi di S.Bernardo. Nel 1218 Onorio III, in occasione dei restauri del complesso, riportò i resti del martire nella cripta, conservati ancora oggi presso la Cappella di S.Sebastiano, a sinistra dell’altare maggiore.

L’altare del santo ospita un bellissimo monumento (nella foto 2), opera di Giuseppe Giorgetti su disegno del Bernini, ed il suo corpo, trafitto di frecce, riposa sotto l’altare nella stessa conca di marmo dove lo pose Onorio III. In occasione del restauro furono costruiti il campanile (oggi profondamente trasformato) ed il chiostro, rinvenuto nel corso degli scavi novecenteschi sotto la navata sinistra. Soltanto nel 1563 la basilica subì un nuovo intervento, limitato, peraltro, alla zona dell’altare maggiore, il quale, in origine posto in mezzo alla navata, venne spostato lungo la parete destra. La trasformazione del complesso nelle forme attuali ebbe luogo una ventina d’anni più tardi, quando i Cistercensi, che l’avevano sempre officiata, eccezion fatta per i due secoli in cui furono sostituiti dai Canonici Regolari del Laterano, abbandonarono la chiesa: essa allora fu data in commenda al cardinale Scipione Borghese, nipote di Paolo V, che promosse una profonda opera di ristrutturazione tra il 1608 ed il 1613, affidata in un primo momento a Flaminio Ponzio e, dopo la sua morte, a Giovanni Vasanzio. Furono rifatti soffitto e pavimento, iniziate le due cappelle delle Reliquie e di S.Sebastiano e rinnovata l’architettura generale, compresa la facciata. Quest’ultima (nella foto sotto il titolo) presenta un grande portico a tre arcate, che poggia su quattro coppie di colonne antiche in granito, sormontate da altrettanti capitelli ionici. L’ordine superiore, scandito da coppie di paraste che separano tre finestre dal timpano curvilineo, culmina in un frontone triangolare, sopra il quale spiccava lo stemma nobiliare dei Borghese, successivamente scalpellato. L’opera del cardinale, che richiamò i Cistercensi nel monastero, fu continuata dal cardinale Francesco Barberini e dal papa Clemente XI Albani.

S.Sebastiano divenne l’apice del famoso pellegrinaggio delle Sette Chiese istituito da S.Filippo Neri e conserva, al suo interno (nella foto 3), una delle frecce estratte dal corpo di S.Sebastiano, la colonna alla quale fu legato per l’esecuzione della condanna a morte e l’originale ex-voto pagano che secondo la tradizione riprodurrebbe le impronte dei piedi di Gesù durante l’incontro con Pietro avvenuto dinanzi alla chiesa del “Domine, quo vadis?“. Nell’Ottocento iniziarono gli scavi dell’originale struttura paleocristiana, durante la quale vennero alla luce i resti degli edifici primitivi, ancora oggi visitabili grazie ad una scala situata sul fianco sinistro. Percorrendo quelle strette gallerie, illuminate solamente da grandi lucernari, possiamo ammirare i tre tipi di sepolture catacombali: il loculo, nicchia orizzontale dove il cadavere veniva deposto fasciato da un semplice lenzuolo; l’arcosolio, una fossa sormontata da un arco, ed infine il sarcofago, una cassa di pietra con bassorilievi, segno di nobiltà, grado e ricchezza.

Nella foto 4 possiamo notare un tratto delle gallerie del secondo piano sotterraneo, dove, sul fondo, è visibile il loculo di un giocoliere che, secondo l’iscrizione, avrebbe conseguito ottimi primati con la sua cavalla Glauce. Quasi tutti i loculi furono aperti dai barbari che cercavano oro, poi dai cristiani in cerca di reliquie, nella credenza che tutti i sepolti fossero martiri. Molti loculi sono piccolissimi: sepolture di bambini, segno inequivocabile della grande mortalità infantile dell’epoca.
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