L’ora di ricreazione, gli alunni escono ordinatamente in cortile dove subito si forma una sana gazzarra: centinaia di bambini saltano, giocano e corrono.
Alcuni sacerdoti e chierici animano i divertimenti, vigilando al tempo stesso per evitare che comportamenti sconvenienti si mescolino con la sana allegria. Uno di loro, attorniato da giovani, dopo aver schivato una palla vagante per aria, esclama: “Gridate e giocate quanto vi pare, purché non pecchiate!” Si tratta di Don Bosco, considerato santo tra gli adolescenti che si disputano, il privilegio di stare al suo fianco, scambiare con lui alcune parole, baciargli la mano sacerdotale.»
Se lui ha potuto essere santo, perché non lo potrei essere anch’io?
La scena sopra descritta si svolge nel primo collegio aperto da Don Bosco, a Torino.
Lì si trovano ragazzi di umili condizioni, ai quali è offerta una formazione cristiana e umana, oltre ad una preparazione alla vita professionale. Alcuni di loro raggiungeranno alti posti nella vita sociale o ecclesiastica. Molti saranno onesti artigiani, capomastri o liberi professionisti. Pochi, elevandosi al di sopra degli altri, raggiungeranno la gloria degli altari. È il caso del giovane Domenico Savio.
Della sua breve esistenza, sappiamo che ha vissuto quasi per tre anni nell’Oratorio, dove dimostrò un profondo affetto al padre della sua anima, San Giovanni Bosco, e servì da continuo esempio e stimolo per gli altri adolescenti. Domenico si guadagnò l’amicizia di tutti i suoi compagni e costituì, con un nucleo tra i più fervorosi, la Compagnia di Maria Immacolata, che subito divenne un primo vivaio di vocazioni sacerdotali per la Congregazione Salesiana.
Nel narrare la sua vita, “il cui tenore fu notoriamente meraviglioso”, al suo primo biografo, lo stesso Don Bosco, che aveva in questo modo l’intenzione di incitare i suoi giovani lettori ad imitarlo, gli si presentò la seguente questione: “Se Domenico, con così pochi anni di età, ha potuto santificarsi, perché non lo potrei anch’io?”»Torna in alto
Desiderio ardente di ricevere Gesù Eucaristico
Deliziamoci con alcuni dati e fatti più rivelanti di questo prodigioso giovane, che seppe unire tra loro virtù armonicamente contrarie.
Il piccolo villaggio di Riva di Chieri lo vide nascere il 2 aprile 1842. I suoi genitori, Carlo Savio e Brigida, erano poveri, onesti e buoni cattolici. Fin da piccino Domenico prese molto sul serio la devozione che gli era stata insegnata tenacemente da loro. Quando aveva appena cinque anni, un viandante che era stato invitato a condividere il povero pasto della famiglia Savio si mise a tavola senza nemmeno farsi il segno della croce. Vedendo questo, Domenico si allontanò e poi spiegò il motivo: “Quest’uomo certamente non è un buon cristiano, perché non fa il segno della croce prima di mangiare. Pertanto, non conviene che noi ci sediamo al suo fianco”.
Per ragioni di lavoro, la famiglia si vide obbligata a trasferirsi a Murialdo, nei dintorni di Castelnuovo, dove il futuro santo frequentava il catechismo della parrocchia. La sua memoria privilegiata – imparò a memoria tutto il catechismo in poco tempo -, la sua perfetta comprensione della sostanza e della grandezza del Sacramento dell’Eucaristia ed il suo ardente desiderio di ricevere in comunione Gesù sacramentato, spinsero il parroco ad autorizzarlo a ricevere la Prima Comunione a sette anni, sebbene fosse abitudine a quest’epoca aspettare che i bambini giungessero agli undici anni.»Torna in alto
Propositi per tutta la vita
Non appena Domenico seppe che avrebbe partecipato al banchetto celeste, non si trattenne dalla gioia, al punto che fu visto in quei giorni pregare a lungo. Alla vigilia del tanto sospirato giorno fece alcune annotazioni che, più tardi, giunsero nelle mani di Don Bosco:
Propositi fatti da me, Domenico Savio, nell’anno 1849, all’età di sette anni:
1º. Mi confesserò con frequenza e riceverò la Comunione tutte le volte che il confessore me lo permetterà.
2º. Santificherò i giorni di precetto.
3º. I miei amici saranno Gesù e Maria.
4º. Vorrò morire piuttosto che peccare.
Magari tutti i giovani ricevessero il Santissimo Sacramento con le stesse disposizioni di questo celestiale patrono!
Secondo Don Bosco, “la prima Comunione ben fatta stabilisce una solida base morale per tutta l’esistenza”. Così avvenne con San Domenico Savio. Durante la sua breve vita, molte volte egli rinnovò questi propositi, dando dimostrazioni evidenti di metterli in pratica con fervore ed efficacia.»Torna in alto
L’incontro con San Giovanni Bosco
Mosso dal desiderio di diventare sacerdote, Domenico andava a studiare nella scuola di un villaggio vicino, percorrendo quotidianamente venti chilometri a piedi. Durante il tragitto, per domare la curiosità, guardava soltanto verso la stretta fascia della strada di campagna, a tal punto che mai seppe descrivere le piccole contrade e i paesaggi incontrati lungo il cammino. Si imponeva questa mortificazione perché voleva proteggere i suoi occhi da qualsiasi cosa brutta, in modo da poter vedere solo Gesù e Maria in Cielo.
Il 2 ottobre 1854, avvenne l’incontro della sua vita. Non potendo continuare gli studi in seguito alla precaria situazione finanziaria della famiglia, fu raccomandato da un sacerdote amico a Don Bosco, il quale accoglieva nell’Oratorio i giovani di scarse possibilità economiche. “In questo giovane incontrerà un San Luigi Gonzaga”, scrisse nella lettera di raccomandazione.
La Storia conserva un indelebile ricordo di questo primo incontro, grazie alla penna di San Giovanni Bosco che sempre lo ricordò con tenerezza ed emozione.
“Il primo lunedì di ottobre – egli narra – ancora molto presto, vidi avvicinarsi un bambino che veniva a parlarmi, accompagnato da suo padre. Il suo viso sorridente e il suo spirito gioioso, eppure rispettoso, colpirono subito la mia attenzione.”
– Chi sei? Da dove vieni? – gli chiesi
– Sono Domenico Savio, di cui già le deve aver parlato Don Cugliero, il mio maestro. Veniamo da Mondonio.
“Scoprii in quel giovane un’anima conforme allo spirito del Signore e rimasi molto meravigliato nel verificare l’opera realizzata dalla grazia divina in una così tenera età.
” Dopo un colloquio un po’ prolungato, egli mi disse testualmente queste parole:
– Allora, mi porterà con sé a Torino, a studiare?
– Vedremo! Mi sembra che abbiamo una buona stoffa.
– E a che cosa può servire questa stoffa?
– Per fare un buon vestito e presentarlo al Signore.
– Dunque d’accordo, io sono il tessuto e lei sarà il sarto. Mi porti con sé e farà un bel vestito per il Signore.
– Che cosa pensi di fare quando terminerai i tuoi studi di latino?
– Se Dio mi concederà una grazia così grande, desidero ardentemente abbracciare la vita ecclesiastica.
Del tutto convinto della qualità della “stoffa” che aveva davanti a sé, Don Bosco decise di portarla alla “sartoria”, cioè, all’Oratorio di Valdocco, a Torino.»Torna in alto
Le chiedo di farmi santo!
Qui Savio subito si distinse per la sua buona condotta e per la serietà con cui svolgeva tutti i compiti. La salute del suo corpo, però, non corrispondeva agli impeti della sua anima zelante. In breve, un preoccupante esaurimento delle forze fisiche lo obbligò ad allontanarsi dalla scuola, anche se, continuava a studiare nell’internato dell’Oratorio.
Un giorno una predica di Don Bosco lo riempì d’entusiasmo. “È volontà di Dio – diceva il sacerdote – che tutti noi diventiamo santi. È molto facile riuscirci e c’è in Cielo un premio già pronto per chi arriva ad essere santo.”
Questa frase fu come una scintilla che provocò nella sua giovane anima un incendio di amor di Dio. La sua meta ormai era completamente chiara: raggiungere la santità.
Un giorno, Don Bosco promise di venire incontro, entro le sue possibilità, a qualunque richiesta che gli venisse fatta dai giovani dell’Oratorio. Piovvero richieste di caramelle e cose del genere. Diversamente da tutti, ecco quella di Domenico, scritta su un piccolo foglio di carta: “Le chiedo di salvare la mia anima e di farmi santo”.
Nella vita di Savio, la lotta per la conquista della santità si presenta ben marcata dal carisma salesiano, secondo gli insegnamenti di Don Bosco: in primo luogo, doveva essere un santo gioioso; oltre a questo, applicare la massima “salvando gli altri, salvi te stesso”, doveva in fine fare apostolato con i suoi compagni.
Così dopo aver conquistato le simpatie di un ragazzino che era appena stato ammesso all’Oratorio, Domenico gli spiegò: “Sappi che, in questa casa, facciamo in modo che la santità consista nel restare sempre molto allegri. Ci sforziamo solo di evitare il peccato – perché esso è un grande nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore – e di compiere bene i nostri doveri”.»Torna in alto
Fonda una associazione “segreta”
È con l’obiettivo di “salvare gli altri” che egli fondò, un poco più tardi, la già menzionata Compagnia di Maria Immacolata. “A me piacerebbe fare qualcosa in onore di Maria, ma che fosse subito, perché temo che mi manchi il tempo” era solito dire.
Questa Compagnia era un’associazione “segreta” diretta da Don Bosco, e ad essa partecipavano alcuni fra i migliori alunni dell’Oratorio, desiderosi di fare apostolato con i loro compagni. Uno di loro si chiamava Michele Rua, il beato che succedette a Don Bosco nella direzione della Congregazione Salesiana.
Gli “statuti” della Compagnia si riassumevano in quattro punti: i suoi membri si impegnavano ad obbedire alle regole della casa, dare buon esempio ai compagni, occupare bene il tempo ed essere vigili per individuare e neutralizzare l’azione dei cattivi elementi che influenzavano negativamente gli altri.
Come esempio di attuazione di questi ragazzi modello in seno ai loro compagni, possiamo apprezzare questo fatto, che vide come protagonista lo stesso Domenico e che fu narrato da Don Bosco.
Un giovane che non apparteneva all’Oratorio portò con sé, un giorno, per faciloneria, una rivista con immagini indecenti e irreligiose. Una folla di bambini si mise intorno a lui per contemplare quelle “meraviglie”. Domenico accorse anche lui, pensando che fosse lì mostrata un’immagine di devozione.
Quando, invece capì di che si trattava, prese la pubblicazione e la fece a pezzi. I suoi compagni, sorpresi, si guardavano l’un l’altro, senza sapere che cosa fare.
Allora Domenico disse loro:
– Il Signore ci ha dato gli occhi per contemplare la bellezza delle cose che Egli ha creato e voi ve ne servite per guardare simili porcherie? Vi siete dimenticati di quello che tante volte c’è stato detto durante le prediche?
– Stavamo guardando solo per ridere… – rispose uno di loro.
– Sì, sì, per ridere. Vi state preparando per andare all’inferno, ridendo… Ma continuerete a ridere se avrete la disgrazia di cadervi dentro?
Di fronte a queste parole, tutti fecero silenzio e nessuno osò più arrischiare una qualche nuova osservazione.»Torna in alto
Preannunci che la sua vita era alla fine
Purtroppo, la vita di Domenico, così promettente per il futuro se lui fosse giunto ad essere sacerdote, sarebbe stata breve. Nei suoi lunghi tempi di preghiera, la grazia divina lo preparava alla gloria eterna.
Durante le ricreazioni, certe volte, usciva, all’improvviso, dalla cerchia di amici e si metteva a passeggiare da solo, tutto assorto. Quando qualcuno gli chiedeva spiegazioni gli rispondeva: “Mi assaltano le distrazioni di sempre e mi sembra che il Paradiso si apra sopra la mia testa, per questo mi devo allontanare dai miei compagni per non dire cose che essi potrebbero ridicolizzare”.
In una occasione, sempre durante la ricreazione, cadde come svenuto, sostenuto da un amico. Nel ritornare in sé, affermò: “In Cielo, gli innocenti stanno più vicini al nostro Divino Salvatore e per sempre Gli canteranno in modo tutto speciale inni di gloria”.
Prevedendo la sua imminente fine, scrisse ad un grande amico suo, l’esemplare giovane Massaglia: “Mi dici che non sai se tornerai all’Oratorio a trovarci.
Anche la mia carcassa mi sembra piuttosto deteriorata e tutto mi porta a credere che mi sto avvicinando a lunghi passi alla fine dei miei studi e della mia vita”.»Torna in alto
“Ah, che belle cose vedo!”
Massaglia lo precedette nell’entrata in Paradiso, ma Domenico non tardò a seguirlo. All’inizio del 1857, la sua malattia si aggravò notevolmente. Una tosse persistente dava adito al serio timore di contagio, tanto più che imperversava il colera nella zona di Torino. Così, Don Bosco gli consigliò di fare ritorno alla casa paterna. Con il cuore a pezzi e dopo aver fatto, insieme ai suoi compagni, l’esercizio di preparazione alla morte, chiese a Don Bosco: “Preghi affinché io possa avere una buona morte! Arrivederci alla prossima visita, che sarà in Paradiso”.
Partì, dunque, per la casa dei suoi genitori, a Mondonio, dove arrivò il primo marzo del 1857. Lì sopportò con ammirevole rassegnazione, e persino con gioia, i grandi patimenti con cui la Divina Provvidenza ha voluto arricchire la sua anima negli ultimi giorni di vita. La lunga agonia la trascorse in un ambiente di dolcezza e pace ammirevoli che culminarono nell’istante supremo, quando esclamò, sorridendo e con una espressione paradisiaca: “Ah, che belle cose vedo!” Detto questo, esalò l’ultimo respiro con le mani incrociate sul petto, senza fare il minimo movimento.
Così varcò le soglie dell’eternità il primo santo salesiano, il giorno 9 marzo 1857. la notizia della sua morte rattristò Don Bosco che, con questa, aveva perso una perla preziosa…
La perse davvero?
Dal Paradiso, Domenico avrebbe attratto, per le vie innumerevoli dell’innocenza, altri giovani! Allo stesso Don Bosco, egli sarebbe apparso, più tardi, in sogno, mostrandogli la bellezza del Cielo, dove lui si trovava.
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