Da peccatore a modello di perfezione spirituale, Agostino abbracciò la fede cattolica con fervore e zelo insoliti, difendendola e arricchendola con
straordinaria intelligenza concessa da Dio.
Sant’Agostino, luce della saggezza e dell’amore di Dio
Considerato uno dei più brillanti teologi della Chiesa di tutti i tempi, Sant’Agostino lasciò in eredità alla Storia non solo i suoi trattati spirituali, ma anche il racconto della sua conversione, la descrizione delle sue lotte interiori e il suo trionfo sul peccato. “Confessioni”, la celebre opera del vescovo di Ippona, ha prodotto numerosi frutti sulla modifica della vita, sulla ripresa della via della virtù da parte di coloro che si lasciarono toccare dall’esempio di questo eroe della Fede.
Prima di commentare un importante brano di questa autobiografia, dobbiamo conoscere alcune caratteristiche di Sant’Agostino.
Filosofo e retore illustre
Padre per eccellenza di tutti i Padri della Chiesa, dottore della grazia, monaco, pastore, teologo, autore di una monumentale opera, Agostino rimane un simbolo vivente del convertito, non cessando di influenzare lo spirito e l’immaginazione dell’Europa.
Questo romano d’Africa, di origine berbera, nacque nell’anno 354, a Tagaste, nell’attuale Argelia. Raggiunse grande fama per il suo straordinario dominio delle arti liberali, essendo considerato dai suoi contemporanei come il più illustre dei retorici, ed il più autorevole dei filosofi. Adepto di Cicerone, il giovane Agostino andò a Cartagine e poi a Roma e Milano, che era allora la capitale dell’Impero. I suoi pellegrinaggi spirituali lo portarono ad aderire al manicheismo, ma fu l’incontro con il cristianesimo che rivoluzionerebbe la sua vita. A trentadue anni, su insistenza di sua madre, Santa Monica e di Sant’Ambrogio, e dopo una rivelazione soprannaturale nei giardini di casa sua, Agostino chiese di essere battezzato.
Secondo una tradizione, dopo la cerimonia del Battesimo, Sant’Ambrogio disse: Te Deum laudamus, e Sant’Agostino rispose: Te Dominum confittemur!; e così alternando le loro frasi, uno e l’altro improvvisarono in quell’occasione i concetti e le parole che compongono l’inno liturgico Te Deum.
Avversario instancabile dell’eresia
Dopo un breve ritiro a Cassiciaco, Agostino tornò in patria, diventò monaco e dedicò tre anni alla preghiera e allo studio.
Nel 391, il Vescovo Valerio di Ippona (oggi Annaba) lo chiamò ad unirsi a lui. Agostino lo succederebbe poi, in questa importante sede episcopale, nel 395. Comincia allora a questo predicatore e catechista infaticabile un’epoca di grandi polemiche – contro i donatisti, in primo luogo, che negavano ai lapsi (apostata) il perdono della Chiesa; poi contro i pelagiani, che attribuivano esclusivamente all’uomo il merito alla salvezza.
Il Vescovo di Ippona trova in sé la vocazione di combattente contro le eresie, in grado non solo di registrare i suoi pensieri nei problemi del suo tempo, ma anche di costruire un’autentica e perenne teologia. Alla fine della sua vita, già in piena invasione dei Vandali, affrontò un’ultima deviazione alla Fede: quella degli omeani, che negavano il dogma cristologico.
La tristezza, compagna nella fine della vita
Intorno all’anno 430, i barbari avevano devastato tutto il Nord Africa. Quando arrivarono a Ippona, gli invasori la assediarono e imposero uno stretto assedio. Questo avvenimento aggravò la vecchiaia già amara e triste di Sant’Agostino, che soffrì più di tutti, e si nutrì giorno e notte del torrente di lacrime che sgorgava dai suoi occhi per vedere come come alcuni cadevano uccisi e altri fuggivano, e quando ritenne che le chiese restavano vedove dai loro sacerdoti e che le popolazioni devastate si erano trasformate in deserti.
Come gli orrori continuassero, riunì i suoi monaci e gli disse: “Ho chiesto al Signore di farci uscire da questa situazione angosciante; o ci dia le forze da resistere, o mi tolga da questa vita e mi liberi di testimoniare tali calamità”.
Il Signore lo ascoltò e concesse la terza di quelle petizioni. Mesi dopo l’inizio dell’assedio della città, Sant’Agostino si ammalò. Rendendosi conto che il giorno della sua morte si avvicinava, mandò che scrivessero i Sette Salmi Penitenziali in grandi manifesti e li incolassero sulle pareti della sua cella, in modo che potesse leggerli e recitarli dal letto su cui era prostrato. Questo fu fatto, e il Santo, sempre con grande emozione nell’anima, costantemente recitava le preghiere.
Poco prima di morire, Sant’Agostino disse queste parole interessanti: “Nessuno, per più virtuosamente che abbia vissuto, dovrà lasciare questo mondo senza la previa confessione dei suoi peccati e senza ricevere l’Eucaristia”.
Fino all’ultimo istante della sua vita conservò perfetto lo stato delle sue facoltà, dei suoi membri e della sua visione, in modo che, con completa chiarezza mentale, nel momento supremo, circondato dai suoi monaci che lo accompagnarono nelle sue preghiere, a 77 anni di età e 40 di espiscopato, rese il suo spirito a Dio.
Appassionato ricercatore della verità
Luminosissimo faro di saggezza, baluardo dell’ortodossia, fortezza inespugnabile della Fede, elevandosi nella scienza sugli altri dottori della Chiesa, Agostino fu un uomo distinto, tanto a causa degli esempi delle sue virtù, come per la ricchezza della sua dottrina.
Il lavoro che lasciò in eredità è immenso. Centotredici trattati, tra i quali spiccano il De Trinitate e Città di Dio, che apre la teologia della Storia; 218 lettere, oltre 500 ‘Sermoni’, ‘Dialoghi’ e Commenti sulla Bibbia, e infine, questa singolare opera che sono le Confessioni, la prima autobiografia di tutti i tempi.
La sua teologia, fatta di esperienze esistenziali permanenti, raggiunge la contemplazione pura, senza ignorare la psicologia, la storia, la realtà umana. Dall’illuminazione incandescente dalla sua giovinezza fino alla fine della sua vecchiaia, Sant’Agostino mai cessò di meditare sul dono dato da Dio all’uomo, e questo lo rendeva un appassionato ricercatore della verità”.
“Dammi quello che mi ordini; ordini a me ciò che vuoi!”
Vediamo, quindi, come Sant’Agostino si è distinto non solo per le sue eminenti virtù, ma anche per la saggezza luminosa che Dio gli diede, da utilizzare per il bene delle anime e della dottrina cattolica.
Nella sua famosa autobiografia – “Confessioni” – si può leggere questo bellissimo brano su cui vorrei fare alcuni commenti: “Tardi Ti ho amato, oh Bellezza tanto antica e tanto nuova. Tardi Ti ho amato! Ecco che abitavi dentro di me, e io là fuori a cercarTi! Senza forma, mi gettavo su queste bellezze che avevi creato. Stavi con me, e io non ero con te! Mantenevo lontano da te, quello che non esisterebbe se non ci fosse in te. Però, mi hai chiamato con una voce così forte che hai rotto la mia sordità. Hai brillato e scintillato e presto spaventò la mia cecità! Hai esalato profumo, ed io l’ho respirato sospirando per Te. T’ho gustato, e ora ho fame e sete di Te. Mi hai toccato, e ho arso nel desiderio della tua pace. Soltanto nella grandezza della tua misericordia ho messo tutta la mia speranza. Dammi quello che mi hai ordinato, e mi ordini quello che vuoi. “Ma, ha detto un saggio: ‘E’ già un effetto dell’intelligenza sapere che nessuno può essere casto senza il dono di Dio’. Per la continenza, ci siamo incontrati e ci siamo ridotti all’unità, dalla quale ci allontaniamo quando ci doniamo a innumerevoli creature. Poco Ti ama quello che ama allo stesso tempo un’altra creatura, senza essere a causa tua. Oh, amore sempre risplendente e che mai si è spento! Oh carità, oh mio Dio, mi infiammi! Mi ordini la continenza. Dammi quello che mi hai ordinato e mi ordini quello che vuoi!”
Si tratta di un testo così elevato e nobile che la sua intellezione può sembrare, a prima vista, un po’ difficile.
Bei giochi di parole
Sant’Agostino fa alcuni giochi di parole, molto apprezzati dagli antichi. Non so come suonano e quale sapore hanno nell’udito e nel gusto spirituali delle generazioni successive alla mia, ma a mio avviso sono bellissimi. Come si sa, Sant’Agostino si è convertito all’età matura, dopo aver vissuto una vita di peccato. Quindi si rivolge a Dio e dice:
“Tardi ti ho amato”, e usa il primo gioco di parole: “Oh Bellezza così antica e sempre nuova”. Il Creatore è antico perché, essendo eterno, esistiva già prima di tutti i secoli. Ma è una bellezza costantemente rinnovata, perché è infinita e manifesta continuamente qualcosa di inedito alla nostra considerazione. E l’uomo, adorandoLo per tali predicati, incontra in Dio la pienezza, la perfezione espressa dal detto gioco di parole, che collega doni antitetici che lo spirito umano non potrebbe unire.
Esclamò il Santo: “Ecco, che abitavi in me e io là fuori cercavo Te!”
In tutti gli uomini, soprattutto in quei battezzati, Dio agisce in modo permanente attraverso l’azione della grazia. Pertanto, l’Eccelso rimaneva all’interno di Sant’Agostino. Tuttavia, come un pazzo, lui Lo cercava fuori, aspirando a una soddisfazione che le creature non ci danno, perché la vera felicità è dentro di noi.
Vediamo allora un altro gioco di parole: dentro e fuori. Lui aveva, nel più profondo dell’anima, quello che cercava fuori in modo disperato.
Continua il Vescovo di Ippona: “Senza Forma, mi sono gettato sulle bellezze che avevi creato. Eri con me, e io non ero con te”.
Vuol dire che, Dio dimorava in lui, ma lui non era rimasto con il Signore. Si tratta di una antitesi, senza però essere una contraddizione.
Abbiamo ricevuto grazie per obbedire agli ordini divini
In un brano, Sant’Agostino fa questa bella affermazione: “Dio ci dà quello che ci ha ordinato prima. Che cosa vuol dire?
Quando il Creatore ci prescrive un comandamento, ci dà la possibilità di osservarlo. Quindi, prima di indicare la castità, Egli ci dà la grazia di praticarla. Perché Dio, a differenza di alcuni dirigenti umani, è un buon Padre e ci governa attraverso le norme della sua inesauribile misericordia.
Sulla base di questa considerazione, Sant’Agostino presenta una giustificazione interessante per la castità. Secondo lui, il bene di ogni essere e dell’ordine dell’universo è l’unità. L’uomo puro è colui che ama Dio sopra ogni cosa e ama le altre cose per amore al Creatore. L’impuro, invece, insegue mille creature, e in questo tipo di pluralità si allontana dall’unità originaria, primitiva, a cui doveva tendere. In tal modo, offende l’ordine dell’universo.
Questa analisi contiene una meravigliosa repulsione alla poligamia e al divorzio, ed è più importante, credo, di qualsiasi confutazione sociologica contro queste deviazioni morali. Per la metafisica è molto più adatta per convincere lo spirito umano che i dati tecnici, anche quando sono accompagnati dalle argomentazioni di natura psicosociale. Credo che in ogni momento della mia vita, questo ragionamento a favore della castità, basato sul concetto di unità, convincerebbe più di tutti gli altri.
Con queste brevi considerazioni ci è dato ricordare, allora, la memoria di questo straordinario uomo di fede e di sapienza, esempio splendente di amore di Dio, che fu il grande Sant’Agostino di Ippona.
(Mons. João Clá Dias, EP – Santi Commentati)
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